Non imponibilità IVA anche per gli acconti degli esportatori abituali
Valgono i principi relativi all’esigibilità dell’IVA se la successiva fornitura è già individuata
La previsione di un acconto per una successiva cessione all’esportazione può beneficiare del regime di non imponibilità IVA, purché i beni siano “specificamente individuati” e risulti la destinazione al di fuori dell’Ue, anche prima della consegna dei medesimi.
Lo ha sancito la Cassazione nella sentenza n. 10606/2015, che è stata ripresa di recente dall’ordinanza n. 4287/2025, nella quale viene ulteriormente specificato che l’equiparazione del regime IVA dell’acconto a quello dell’operazione successiva presuppone che “siano già noti alle parti tutti gli elementi qualificanti del fatto generatore d’imposta”.
Sebbene la Suprema Corte si sia espressa in tema di esportazioni, è possibile ritenere che i medesimi principi possano valere, mutatis mutandis, per gli acconti riferiti a forniture nei confronti di esportatori abituali.
A seguito dell’invio della dichiarazione d’intento (e della verifica dei relativi dati) da parte del cessionario o committente, il fornitore può, in linea generale, applicare il regime di non imponibilità IVA previsto dall’art. 8 comma 1 lett. c) del DPR 633/72.
È, allora, ragionevole chiedersi se la non imponibilità IVA possa estendersi anche alle cessioni e prestazioni per le quali è pattuito un corrispettivo a titolo di acconto.
In termini generali, si fa riferimento al disposto dell’art. 6 comma 4 del DPR 633/72, ai sensi del quale, se è stato pagato un corrispettivo parziale anteriormente all’ordinario momento di effettuazione (es. consegna del bene), l’operazione si considera effettuata alla data del pagamento, limitatamente all’importo pagato.
A livello giurisprudenziale, il principio è stato illustrato a più riprese. Ad esempio, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14716 del 27 maggio 2021, ha sancito che, a norma del citato art. 6 comma 4 del DPR 633/72, nel caso di versamento di un acconto, “l’IVA diventa esigibile senza che la cessione o la prestazione siano state ancora eseguite”.
La ratio della disposizione risiede nel fatto che, nell’ipotesi di anticipato pagamento, “il contenuto economico dell’operazione si considera già – in tutto o in parte – realizzato, dando vita al presupposto fiscalmente sufficiente per la sua imponibilità, sia pure limitatamente all’importo pagato”, a condizione che “tutti gli elementi rilevanti della futura operazione siano noti al committente/acquirente” e che l’operazione nel momento dell’acconto “sembri certa”.
In sostanza, come indicato dalla Corte di Giustizia (sentenza 21 febbraio 2006, causa C-419/02 e sentenza 31 maggio 2018, cause riunite C-660/16 e C-661/16), affinché l’IVA possa divenire esigibile, occorre che tutti gli elementi qualificanti del fatto generatore, vale a dire la futura cessione o la futura prestazione, “siano già conosciuti e dunque, in particolare, che, al momento del versamento dell’acconto, i beni o i servizi siano specificamente individuati”.
Tale condizione è necessaria anche per l’applicazione del regime di non imponibilità IVA nel caso di acconti riferiti a future cessioni all’esportazione (Cass. n. 10606/2015).
Fermi i principi sin qui espressi, non constano, tuttavia, chiarimenti espressi, da parte della prassi amministrativa, in merito al trattamento da riservare agli acconti riferiti a forniture verso esportatori abituali.
Il solo documento che appare aver trattato, seppur marginalmente, la materia è la risalente C.M. n. 73/84 (parte n. 3) in cui si è precisato che, ai fini del “momento di utilizzazione del plafond”, per gli acquisti di beni e servizi nello Stato “assume rilevanza il momento di effettuazione delle operazioni ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. 633/72 e successive modificazioni”.
Tali regole sono confermate anche nelle istruzioni alla dichiarazione IVA, quadro VC, in cui si legge che “per quanto concerne il momento di utilizzazione del plafond non si deve tenere conto delle registrazioni delle fatture di acquisto o delle bollette doganali di importazione, bensì del momento di effettuazione dell’operazione degli acquisti stessi ai sensi dell’art. 6”.
Seppur senza menzionare espressamente il caso del pagamento anticipato di un acconto, anche la circolare e le istruzioni alla compilazione del modello dichiarativo sembrano ammettere che la spendita del plafond (e, dunque, la possibilità per il fornitore di applicare il regime di non imponibilità IVA ex art. 8 comma 1 lett. c) del DPR 633/72) coincida con il momento di effettuazione, ordinariamente determinato ai sensi dell’art. 6 del DPR 633/72.
Si osserva, da ultimo, che, diversamente dalla fattispecie esaminata dalla Suprema Corte (Cass. nn. 10606/2015 e 4287/2025) per le cessioni all’esportazione, ai fini del regime di non imponibilità per le forniture a esportatori abituali (ancorché con riferimento al solo acconto pagato), resta necessario che l’operazione sia già specificamente determinata. Risulta, però, ininfluente la reale destinazione “all’esportazione” del bene ceduto, trattandosi di un regime basato sul solo requisito “soggettivo” (status di “esportatore abituale”) del cessionario e dell’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate, la quale esercita i relativi controlli sull’operazione.
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