L’invio di somme al proprio conto estero non è sottrazione fraudolenta
La Cassazione chiede un accertamento rigoroso delle connotazioni di artificio, inganno o menzogna
Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, previsto all’art. 11 comma 1 del DLgs. 74/2000, punisce chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte e sanzioni, alieni simulatamente o compia altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Per la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato è quindi indispensabile accertare – prima ancora della idoneità a rendere più difficoltosa la riscossione – il carattere fraudolento dell’atto, nell’accezione elaborata dalla giurisprudenza penale: è necessario, in altri termini, individuare anzitutto, nella condotta dell’agente, connotazioni di artificio, inganno o menzogna tali da rappresentare ai terzi una riduzione del patrimonio non corrispondente al vero (cfr., tra le altre, Cass. n. 35983/2020).
Ancor di più, la natura fraudolenta degli atti dispositivi presuppone non soltanto la lesione di un diritto altrui, per effetto della riduzione del patrimonio del debitore che rende più difficoltosa l’azione di recupero dell’Erario, ma anche che il pregiudizio arrecato non sia immediatamente percepibile (Cass. n. 10161/2018).
Secondo tale interpretazione che viene considerata del tutto consolidata, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei a eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta allorquando siano connotati da elementi di artificio, inganno o menzogna tali da rappresentare ai terzi una riduzione del patrimonio non corrispondente al vero, cosi mettendo a repentaglio o, comunque, rendendo più difficoltosa la procedura di riscossione coattiva.
Su questo tema è tornata la sentenza n. 38974, depositata ieri dalla Cassazione. Nel caso in esame un contribuente era stato condannato per il reato di cui all’art. 11 del DLgs. 74/2000 (e assolto invece per il reato di falso ex art. 483 c.p.) per aver fatto confluire, su un conto corrente aperto in Croazia e intestato a proprio nome, alcuni bonifici effettuati utilizzando la liquidità giacente sul proprio conto italiano, ovvero quella derivante dai guadagni per consulenze in Bulgaria, ovvero ancora costituenti vincite in un casinò nel Montenegro.
I giudici di merito avevano ritenuto la sussistenza del reato sostenendo che risultava evidente la finalità di sottrarsi alla riscossione coattiva, facendo transitare i contanti verso un conto estero, rendendo in tal modo oggettivamente più difficoltosa l’azione di recupero dell’IVA evasa da parte di Equitalia.
Tra gli elementi sollevati dalla difesa che vengono presi in considerazione dalla Cassazione vi è innanzitutto il fatto che il conto di destinazione era intestato alla stessa persona; viene inoltre sostenuta l’impossibilità di scorgere indici di fraudolenza in “trasparenti bonifici su conto corrente bancario in uno Stato appartenente all’Unione Europea sin dal 2013 che certamente non può considerarsi paradiso fiscale”.
Viene pertanto ritenuto incompleto l’accertamento operato dalla Corte di Appello laddove aveva invece ritenuto sufficiente, per la configurabilità del reato, richiamare le difficoltà che l’Amministrazione finanziaria avrebbe incontrato a seguito delle operazioni bancarie; senza peraltro soffermarsi in alcun modo sul preliminare problema della fraudolenza delle operazioni medesime. Indagine tanto più necessaria – ritengono i giudici di legittimità – considerando che tutte le operazioni in contestazione si risolvono nel trasferimento di somme contanti su un conto intestato non già a beneficio di un compiacente prestanome, bensì allo stesso contribuente.
Per tali ragioni, la condanna viene annullata con rinvio per nuovo giudizio.
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