L’intermediazione finanziaria senza autorizzazione può integrare reato
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte è stata contestata l’associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo di attività finanziarie
Gli intermediari finanziari sono soggetti, diversi dalle banche, ai quali l’ordinamento nazionale consente di erogare credito in via professionale nei confronti del pubblico nel territorio della Repubblica.
La materia dell’intermediazione finanziaria non è armonizzata a livello europeo e, pertanto, gli intermediari finanziari, anche se costituiti in Paesi dell’Unione, per potere operare in Italia, devono essere autorizzati e iscritti nell’apposito albo previsto dall’art. 106 del DLgs. 385/1993 (TUB).
Tale disciplina rileva in un caso affrontato dalla Cassazione nella sentenza n. 40408 depositata ieri, ove un soggetto era accusato, insieme ad altri, di avere costituito un’associazione a delinquere funzionale a commettere attività finanziaria riservata attraverso il rilascio di garanzie (prestito e pegno su titoli di garanzia) di varie società a clienti sparsi sull’intero territorio nazionale, incassando decine di milioni di euro e guadagnando illegalmente provvigioni di mediazione.
Secondo i capi di accusa, l’indagato svolgeva la professione di avvocato ed era coinvolto in quanto legal officer italiano e procuratore di una serie di società, beneficiario per l’incasso o paymaster company di alcune di tali società, che riceveva il corrispettivo delle garanzie (complessivamente oltre 3 milioni di euro) e poi lo dirottava agli altri soggetti, nascondendo ai contraenti le polizze la vera destinazione dei loro pagamenti, che non confluivano su rapporti bancari delle società emittenti le garanzie.
In particolare, gli era contestato di aver immesso sul mercato italiano oltre un centinaio di garanzie, rilasciate da diverse società estere e italiane, in modo abusivo, in quanto si trattava di società non iscritte nel predetto albo degli intermediari finanziari, né controllate da una o più banche aventi sede legale nello Stato di costituzione di tali società, requisiti necessari per operare in Italia ai sensi della normativa vigente. Dietro lo schermo delle società emittenti le garanzie, vi era lo stesso gruppo di persone organizzato, che operava in Italia e faceva confluire i rilevanti flussi di danaro illecitamente percepiti sui medesimi canali finanziari, per poi deviare gli stessi su conti esteri.
In effetti, la Cassazione evidenzia che le attività di concessione di finanziamenti riservate agli iscritti nell’apposito albo di cui all’art. 106 del TUB rientrano anche il rilascio di fideiussioni, l’apertura di credito documentaria, l’accettazione, la girata, l’impegno a concedere credito nonché ogni altra forma di rilascio di garanzie e di impegni di firma.
Nel caso di specie, le condizioni normative che consentivano il legittimo esercizio delle attività di intermediazione finanziaria non ricorrevano per le società apparentemente eroganti le garanzie, in relazione alle quali non risultava l’autorizzazione a operare nel Paese estero di stabilimento.
Pur trattandosi di un procedimento in via ancora cautelare (il ricorso per cassazione attiene alla misura degli arresti domiciliari), i giudici di legittimità ritengono corrette le conclusioni di gravità indiziaria circa la sussistenza dell’elemento oggettivo di condotte di esercizio abusivo di attività finanziaria nei confronti del pubblico (art. 132 del DLgs. 385/1993).
Sono stati ritenuti gravi indicatori dello svolgimento in forma associata e organizzata di attività finanziaria illecita, perché esercitata in assenza delle autorizzazioni o iscrizioni di legge: la quantità di polizze stipulate; l’elaborato sistema di pegno sui titoli di Stato, in garanzia o controgaranzia, con connessi richiami nei contratti all’attività di securities landing e alla figura degli escrow agent o paymaster (fiduciari per l’incasso); l’ordine di grandezza degli importi apparentemente garantiti e i milionari premi effettivamente drenati; la suddivisione dei ruoli; la diffusione dell’operatività sul territorio nazionale e la distrazione dei proventi sui canali bancari stranieri; la protrazione della condotta nel tempo.
Il reato è stato tra l’altro ritenuto transnazionale poiché, come si è anticipato, i flussi di danaro raccolti in Italia venivano poi fatti transitare e deviati su conti correnti esteri (cfr. Cass. SS.UU. n. 18374/2013).
Diverse sono le valutazioni che vengono fatte con riferimento all’elemento soggettivo del reato di associazione a delinquere. Per tale fattispecie non è infatti sufficiente il dolo c.d. eventuale, ma è necessaria la coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione del programma delinquenziale in modo stabile e permanente. Sebbene la commissione di uno o più delitti programmati dall’associazione non dimostri automaticamente l’adesione alla stessa, questa può desumersi in modo fortemente indiziante dalla stessa realizzazione dell’attività delittuosa in termini conformi al piano associativo.
La sentenza in commento conclude, dunque, per un annullamento con rinvio, affinché venga meglio esplorato il materiale indiziario e di prova e rivalutata la sussistenza o meno del dolo.
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