Impugnabile e sostituibile dal giudice la delibera assembleare «negativa»
È possibile anche se dovesse riguardare la non approvazione del bilancio d’esercizio
Appare oggi possibile dare per acquisita la impugnabilità delle delibere “negative”, ossia le delibere con le quali l’assemblea di una società decide di respingere una proposta all’ordine del giorno (delibere delle quali il relativo verbale viene comunque redatto e trascritto nel relativo libro sociale).
La Suprema Corte, infatti, nella pronuncia n. 7874/2024, ha chiarito come si tratti pur sempre di una manifestazione di volontà dei soci adottata in esito al procedimento previsto dalla legge.
Occorre, tuttavia, chiedersi quali siano i possibili rimedi contro una delibera negativa frutto della posizione (asseritamente) illegittima di uno o più soci.
Secondo taluni, il giudice potrebbe dichiarare illegittimo il rigetto della proposta con una sentenza di accertamento dalla quale deriverebbe solo l’obbligo dell’organo amministrativo di convocare nuovamente l’assemblea su quel determinato ordine del giorno. Ciò senza alcun particolare vantaggio per l’impugnante, non potendo il giudice sostituirsi alla volontà dell’assemblea che, poi, resterebbe libera di rideliberare all’infinito nello stesso modo.
Secondo altra ricostruzione, invece, sarebbe da ammettere una tutela reale, nel senso che il giudice potrebbe proclamare, con sentenza di accertamento, la diversa volontà assembleare non viziata. A tal fine, peraltro, occorrerebbe proporre non soltanto una domanda di accertamento dell’invalidità della prima deliberazione, ma anche di accertamento della diversa deliberazione: la sentenza farebbe emergere, così, la decisione effettivamente assunta dall’assemblea.
Questo esito sarebbe possibile, ad esempio, quando sia computato il voto determinante espresso dal socio in conflitto di interessi o quando il voto determinante sia frutto di abuso del relativo diritto. In tali casi, infatti, accertato il voto negativo illegittimo, ma computato nel quorum deliberativo, ed espunto lo stesso, il giudice potrebbe accertare che la deliberazione assembleare diverge da quella proclamata, ovvero che la proposta all’ordine del giorno è stata approvata e non respinta.
Alla base di ciò vi sarebbe una vera e propria impugnazione della delibera negativa assunta dall’assemblea e, come tale, imputabile alla società, facendo leva sugli artt. 3 e 24 Cost.; principi che escludono una ingiustificata disparità di tutela tra deliberazione positiva o negativa.
La sentenza del giudice – prosegue ancora la Suprema Corte – non sarebbe costitutiva, ma solo dichiarativa dell’effettiva volontà assembleare e, dunque, sempre permessa, per il principio della generale ammissibilità delle sentenze di accertamento. Non si realizzerebbe una sostituzione della volontà assembleare con quella del giudice, perché questo si limiterebbe a dichiarare l’effettiva volontà assembleare con effetto sin dal momento in cui la deliberazione è stata (in realtà) assunta.
La Suprema Corte, nella decisione citata, sembra propendere per questa soluzione.
Appare, peraltro, opportuno sottolineare come, in tali casi, il giudice debba ripercorrere il procedimento deliberativo e, una volta eliminati i voti illegittimamente esercitati, ma considerati ai fini del mancato raggiungimento del quorum deliberativo, procedere a registrare il risultato che vi sarebbe stato e che illegittimamente non è stato proclamato (cfr. Trib. Milano 28 novembre 2014).
Quello che, invece, il giudice non può fare è sostituire una deliberazione negativa con un’altra delibera che comporti il conseguimento di un risultato positivo che non ha riscontrato il voto favorevole della maggioranza, non potendo, i soci di minoranza, ottenere una sentenza che si sostituisca alla volontà dei soci di maggioranza e che produca un risultato diverso dal mero effetto ripristinatorio che consegue all’annullamento della delibera (così Trib. Venezia n. 980/2024).
Tutto ciò rileva anche con riguardo alle decisioni negative in ordine all’approvazione del bilancio d’esercizio.
Anche in tale contesto, infatti, si è ritenuto che il Tribunale non possa sostituirsi agli organi sociali ed approvare, previo annullamento di una delibera assembleare a contenuto negativo, un bilancio che la maggioranza ha ritenuto di non poter approvare, né, tanto meno, accertare e dichiarare la regolarità formale e sostanziale di un bilancio non approvato nell’opportuna sede assembleare (così, in particolare, Trib. Roma 10 novembre 2010; cfr. anche Trib. Reggio Emilia 20 dicembre 2002).
Altra ricostruzione, invece, ora anche sulla scia delle indicazioni della citata decisione della Corte di Cassazione, non solo ritiene che sia impugnabile la delibera negativa in materia (cfr. Trib. Catania 10 agosto 2007), ma anche che sia possibile per l’Autorità giudiziaria dichiarare approvato il progetto di bilancio precedentemente respinto (cfr. App. Roma 29 maggio 2001, Trib. Milano 28 novembre 2014 e, soprattutto, più di recente, Trib. Catania n. 6145/2024).
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