Per le dimissioni di fatto valide solo le giornate successive al 12 gennaio 2025
Lo ha stabilito il Tribunale di Trento con la prima rilevante sentenza in merito alle dimissioni di fatto
Le giornate di assenza ingiustificata, che determinano l’effetto estintivo del rapporto di lavoro per dimissioni “di fatto”, sono solo quelle successive all’entrata in vigore della nuova procedura di risoluzione, contenuta nel c.d. collegato Lavoro (L. 203/2024), vigente dal 12 gennaio 2025. Lo ha stabilito il Tribunale di Trento con la sentenza n. 87/2025, la prima pronuncia di merito che offre numerosi spunti di riflessione.
Nel caso di specie una lavoratrice, a seguito di interruzione della possibilità di lavorare mediante smart working, non si era presentata a lavoro, maturando, a decorrere dal 7 gennaio 2025, una serie di giorni di assenza. Il datore di lavoro, rifacendosi all’art. 238 comma 4 del CCNL per i dipendenti da aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi, che consente il licenziamento disciplinare in ragione di assenza ingiustificata oltre tre giorni nell’anno solare, ha ritenuto perfezionata la fattispecie di dimissioni per fatti concludenti, prevista dal nuovo comma 7-bis dell’art. 26 del DLgs. 151/2015, provvedendo in data 13 gennaio 2025 a inoltrare a mezzo PEC la prevista comunicazione al Servizio Lavoro della Provincia Autonoma di Trento.
Il primo aspetto, sul quale si incentra fondamentalmente la motivazione del giudice, attiene al momento a partire dal quale è possibile attribuire all’assenza del lavoratore una specifica valenza giuridica. Sul punto il Tribunale, muovendo dal principio del tempus regit actum e dell’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto, spiega come il sostantivo actus indichi una condotta o comportamento in generale e, quindi, un qualsiasi fatto umano giuridicamente rilevante, non già soltanto un negozio giuridico ossia una manifestazione di volontà produttiva di effetti giuridici, quali le “dimissioni per fatti concludenti”. Pertanto, le giornate di assenza antecedenti al 12 gennaio non possono essere considerate una semplice preesistente situazione di fatto che abilita, successivamente a tale data, la possibilità di attivare la procedura di risoluzione del rapporto. In tal senso solo una condotta successiva può acquisire il valore giuridico richiesto dal comma 7-bis.
Muovendo da tale ragionamento il Tribunale ritiene non perfezionato l’istituto, accogliendo la tesi della ricorrente che ha qualificato la fattispecie come licenziamento orale attuato mediante il rifiuto di ricevere la prestazione della lavoratrice.
Innanzitutto, appare interessante evidenziare come secondo il giudice la totale assenza dei presupposti di cui all’art. 26 riconduca l’interruzione del rapporto a un licenziamento (precisamente orale, con le conseguenze normative previste dall’art. 2 del DLgs. 23/2015), mentre il diritto alla ricostituzione del rapporto, paventata tanto dall’INL quanto dal Ministero, per le ipotesi in cui il datore di lavoro abbia già provveduto alla trasmissione del relativo modello UniLav di cessazione, potrebbe discendere unicamente da un accertamento negativo dello stesso Ispettorato, investito dalla comunicazione, ovvero da un’azione giudiziaria del lavoratore che, secondo quanto previsto proprio dall’ultimo periodo del comma 7-bis, dimostri l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.
Altra questione attiene alla circostanza per cui il giudice, ai fini delle dimissioni di fatto, sembra attribuire valore ai giorni di assenza (oltre i 3) previsti dal CCNL ai fini disciplinari, peraltro inferiori al termine legale di 15 giorni.
Invero il Ministero, con circolare n. 6/2025, ha sostenuto la necessità che il CCNL preveda una norma che individui una durata di assenza ingiustificata con valore dimissionario, non potendo mutuare quanto stabilito al diverso fine disciplinare, sottolineando, inoltre, che il CCNL non può derogare in peius, fissando un termine inferiore ai 15 giorni.
Ad avviso dello scrivente, a ben vedere, il Tribunale non affronta espressamente tale aspetto, limitandosi a prendere atto di quanto rappresentato dalle parti nel giudizio. Peraltro, proprio in relazione al perfezionamento del termine utile alla fattispecie dimissionaria, lo stesso giudice, pur richiamando la disposizione contenuta nel CCNL a fini disciplinari, sottolinea come nessun argomento contrario è stato svolto dalla società convenuta nella propria memoria di costituzione.
Infine, una menzione merita anche il passaggio della sentenza nella parte in cui afferma che “il concetto di assenza in tanto può avere un senso in quanto vi sia un obbligo, contrario, di presenza: invece, sarebbe contraddittorio e privo di senso parlare di assenza dal lavoro in riferimento a giorni festivi o comunque non lavorativi”. In tal modo, pertanto, il giudice sembra aderire a un conteggio dei giorni di assenza non di calendario ma di effettivo lavoro.
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