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Limiti all’attività probatoria nell’opposizione allo stato passivo

Le mere difese del curatore non legittimano nuovi mezzi istruttori

/ Antonio NICOTRA

Martedì, 24 giugno 2025

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16628 del 21 giugno 2025, ha enunciato il principio secondo il quale, nell’opposizione allo stato passivo, il ricorrente, a fronte di una mera difesa svolta dal curatore soltanto nella memoria di costituzione in tale giudizio (nella specie, la mancanza di prova della titolarità del credito azionato in capo all’opponente), non ha il diritto di ottenere dal Tribunale, al fine di fornire la prova del fatto costitutivo contestato, un termine per dedurre mezzi istruttori nuovi e diversi rispetto a quelli già richiesti o prodotti nel termine stabilito a pena di decadenza dall’art. 99 comma 2 n. 4 del RD 267/42.
Il ricorrente deve produrre i documenti di cui intende avvalersi nel termine stabilito, a pena di decadenza, dall’art. 99 comma 2 n. 4 del RD 267/42, la cui inosservanza è rilevabile di ufficio (Cass. n. 31474/2018).

L’art. 99 del RD 267/42 non preclude al curatore la proposizione di eccezioni, anche di natura riconvenzionale, non sollevate nel procedimento di accertamento del passivo, né pone limitazioni all’attività assertiva, non essendo preclusa nel giudizio di opposizione la possibilità di affermare l’inesistenza di prove per l’accertamento del credito vantato dall’opponente (anche se non sia stata specificamente contestata l’esistenza dello stesso fatto nel procedimento di verifica).
L’opponente, nel giudizio di opposizione, ha invece diritto all’assegnazione da parte del giudice dell’opposizione di un termine per dare prova del fatto contestato dal curatore per la prima volta nel giudizio di opposizione di cui all’art. 99 del RD 267/42.

Nel caso in cui il curatore introduca eccezioni nuove (ossia deduca fatti estintivi, modificativi o impeditivi non allegati già in sede di verifica), il rispetto del principio del contraddittorio esige che, in relazione ai contenuti della nuova eccezione, sia concesso all’opponente un termine per dispiegare le proprie difese e produrre la documentazione probatoria idonea a supportarle (Cass. n. 22386/2019), ma non invece quando il curatore, avendo contestato la sussistenza della titolarità del diritto in capo all’opponente, si limiti a svolgere, per la prima volta in sede d’opposizione al passivo, una mera difesa.

La negazione dell’effettiva titolarità, dal lato attivo o passivo, del rapporto dedotto in giudizio si configura come una mera difesa la quale, contrariamente alle eccezioni in senso stretto, non è soggetta al termine di decadenza ex art. 99 commi 6 e 7 del RD 267/42, ma può essere fatta valere (dalla resistente) anche oltre il termine dettato dalle disposizioni, così come può essere rilevata d’ufficio, ove risulti dagli atti di causa, senza che l’eventuale contumacia o la tardiva costituzione (del curatore) assuma valore di non contestazione o alteri gli oneri probatori (Cass. n. 24375/2024).

Il curatore, tuttavia, in sede di esame della domanda d’ammissione, può riconoscere la titolarità del diritto azionato in capo al creditore istante o svolgere difese incompatibili, sul piano logico-giuridico, con la negazione della titolarità di tale diritto (artt. 95 comma 1 e 99 comma 7 del RD 267/42, in relazione all’art. 115 comma 1 c.p.c.).
Le mere difese, anche se non sono soggette ad alcuna preclusione processuale, vanno, però, coordinate, ove in concreto ne ricorrano i presupposti, con l’applicazione del principio di non contestazione.

A fronte della mancata contestazione del curatore, il giudice (così come, in sede d’opposizione allo stato passivo, il tribunale) ha il potere-dovere di rilevare, in via ufficiosa, in sede di decisione sulla domanda di ammissione, non solo le eccezioni non riservate dalla legge all’iniziativa esclusiva della parte interessata (art. 95 comma 3), ma anche l’insussistenza dei fatti costitutivi del diritto o del credito azionato a partire dalla titolarità in capo al ricorrente.

La giurisprudenza (Cass. n. 19734/2017), in verità, ha affermato che il principio di “non contestazione” non comporta l’automatica ammissione al passivo (e al rango richiesto) solo perché non sia stato avversato dal curatore (o dai creditori presenti in sede di verifica), competendo al giudice delegato (e al tribunale fallimentare) il potere (e il dovere) non solo di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove, ma anche di accertare l’effettiva sussistenza (o meno) di uno degli elementi fattuali che compongono la fattispecie (a partire dall’effettiva titolarità del diritto), senza che, in siffatta ipotesi, il giudice sia tenuto a sollecitare l’instaurazione del contraddittorio tra le parti, necessario solo in caso di rilievo d’ufficio dell’eccezione (Cass. n. 35/2025).

Il giudizio d’opposizione non è un giudizio di appello, anche se ha natura impugnatoria, ed è regolamentato dall’art. 99 del RD 267/42, il quale prevede, al comma 2 n. 4, che l’opponente debba indicare nel ricorso i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti prodotti, ivi compresa la documentazione prodotta nel corso della verifica del passivo.
La mancata indicazione nell’atto di opposizione dei mezzi istruttori comporta la decadenza da tali mezzi, non emendabile nemmeno con la concessione dei termini dell’art. 183 comma 6 c.p.c. (Cass. n. 32737/2024).

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