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Mercoledì, 6 agosto 2025 - Aggiornato alle 6.00

IL CASO DEL GIORNO

Insinuazione al passivo esclusa per il professionista inadempiente

/ Antonio NICOTRA

Mercoledì, 6 agosto 2025

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Nel giudizio di verifica conseguente alla domanda di ammissione al passivo del credito vantato dal professionista per il compenso asseritamente maturato, il curatore del fallimento della committente è legittimato a sollevare l’eccezione d’inadempimento secondo i canoni della responsabilità contrattuale, con il (solo) onere di contestare, in relazione alle circostanze del caso, la non corretta (negligente) esecuzione, a opera del contraente in bonis, della prestazione o l’incompleto adempimento delle stesse.

Il professionista in tal caso (fuori da un’obbligazione di risultato, pari al successo pieno della procedura) ha l’onere di dimostrare l’esattezza del suo adempimento per la rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione in cui è intervenuto con la propria opera, ovvero l’imputazione a fattori esogeni, imprevisti e imprevedibili dell’evoluzione negativa della procedura, culminata nella sua cessazione (anticipata o non approvata giudizialmente) e nel conseguente fallimento (Cass. SS.UU. n. 42093/2021).

Il credito del professionista incaricato dal debitore di predisporre gli atti per accedere alla procedura di concordato preventivo può essere, di conseguenza, escluso dal concorso nel successivo e consecutivo fallimento tutte le volte in cui, sulla base delle prove raccolte, si accerti, come nel caso in esame, l’inadempimento alle obbligazioni assunte (Cass. SS.UU. n. 42093/2021 e Cass. n. 36319/2022).

Il diritto del professionista al compenso, in effetti, se non implica il raggiungimento del risultato programmato con il conferimento dell’incarico, richiede che il giudice accerti, in fatto, la concreta ed effettiva idoneità funzionale delle prestazioni svolte a conseguire tale risultato: in difetto, pur in mancanza di una responsabilità contrattuale del professionista – come nel caso in cui tale risultato non sia stato ottenuto per fatti ulteriori e diversi dal mancato o negligente adempimento del professionista – non potrebbe neppure configurarsi un atto di esecuzione della prestazione contrattualmente dovuta da parte dello stesso (Cass. n. 36071/2022).

Dopo aver accettato l’incarico di predisporre e/o di patrocinare una domanda di ammissione alla procedura di concordato, il commercialista o l’avvocato hanno l’obbligo, al pari dell’attestatore, di eseguire la prestazione con la diligenza ex art. 1176 comma 2 c.c.: vale a dire, tra l’altro, con la redazione di una proposta di concordato che, dovendo essere funzionale al conseguimento del risultato perseguito dal debitore (la regolazione, attraverso la procedura di concordato preventivo, della crisi), sia rispettosa, nella forma e nel contenuto, delle norme inderogabili di legge al fine di conseguire, di volta in volta, l’ammissione a tale procedura, la conservazione, l’approvazione della proposta da parte dei creditori e l’omologazione del tribunale (Cass. n. 11522/2020).

In questo senso si pone, da ultimo, anche la Cassazione, con l’ordinanza n. 19174/2025, la quale, muovendo da tali presupposti, osserva altresì come il professionista che ometta di informare il debitore istante il concordato preventivo del divieto di eseguire, dopo il deposito del ricorso, atti di pagamento di debiti concorsuali (salve le autorizzazioni giudiziali), dia luogo al colpevole inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti, a mezzo dell’“ampio mandato ricevuto” (comprensivo, tra l’altro, della redazione del ricorso per l’ammissione della procedura e del “supporto continuativo ai vari uffici/reparti della società nella gestione ordinaria della stessa”).

Il diritto del professionista al compenso, in verità, non implica il raggiungimento del risultato programmato con il conferimento del relativo incarico, ma richiede che il giudice accerti la concreta ed effettiva idoneità delle prestazioni svolte a conseguire tale risultato, essendo evidente che, in difetto, non potrebbe parlarsi di atto di adempimento degli obblighi contrattualmente assunti (Cass. n. 36071/2022).

Il mancato (o l’inesatto) adempimento da parte del professionista all’obbligo di dare esecuzione all’incarico ricevuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’opera affidatagli e da tutte le circostanze del caso, ove sia stato idoneo (come nel caso in esame) a incidere sugli interessi perseguiti dal cliente, consente a quest’ultimo (ovvero, in caso di fallimento, al curatore) di sollevare, ai sensi dell’art. 1460 c.c., l’eccezione d’inadempimento e, quindi, di rifiutare legittimamente il pagamento (o l’ammissione al passivo del credito per il) relativo compenso.

A fronte dell’errore del professionista, la (residua) attività difensiva risulta inutile (Cass. n. 35489/2023), con la conseguenza che, in tal caso, egli non vanta alcun diritto (suscettibile di essere ammesso al passivo) al compenso, anche se l’adozione dei mezzi difensivi rivelatisi pregiudizievoli al cliente sia stata, in ipotesi, sollecitata dal cliente, rientrando tra i compiti esclusivi del professionista anche quello di individuare la linea tecnica da seguire nella prestazione professionale.

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