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LAVORO & PREVIDENZA

L’aspettativa generica non è una soluzione ragionevole per la parità

La Corte di Giustizia ha posto alcuni punti fermi in materia di licenziamento dei lavoratori con disabilità per superamento del comporto

/ Giada GIANOLA

Venerdì, 12 settembre 2025

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Ieri, 11 settembre 2025, la Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunciata nella causa C-5/24 sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Ravenna con l’ordinanza del 4 gennaio 2024 in materia di computo del periodo di comporto per i lavoratori disabili, rispetto alla quale lo scorso 3 aprile l’Avvocato Generale aveva presentato le proprie conclusioni (si veda “Non discriminatoria la mancata distinzione tra lavoratori disabili e non per il comporto” del 4 aprile 2025).

Si ricorda che nel caso di specie la lavoratrice disabile era stata licenziata per superamento del periodo di comporto di 180 giorni per anno, intendendosi per tale il periodo compreso tra il 1º gennaio e il 31 dicembre, previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto (il CCNL dipendenti aziende settore turismo Confcommercio del 20 febbraio 2010). L’indicato contratto collettivo prevedeva poi, all’art. 174, una aspettativa generica, vale a dire la possibilità per il lavoratore di richiedere, in presenza delle condizioni ivi elencate, un ulteriore periodo di conservazione del posto di lavoro non superiore a 120 giorni non retribuiti per un solo anno.

Nella sentenza depositata ieri, la Corte di Giustizia evidenzia che con la prima e con la seconda questione il giudice del rinvio ha chiesto se l’art. 2 § 2 e l’art. 5 della direttiva Ce 2000/78 – che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che conferisce a un lavoratore assente per malattia un diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo retribuito e rinnovabile di 180 giorni per anno civile, al quale può aggiungersi, in taluni casi e su richiesta del lavoratore medesimo, un periodo non retribuito e non rinnovabile di 120 giorni, senza tuttavia istituire un regime specifico in favore dei lavoratori disabili.

La Corte, con l’indicata pronuncia, ha evidenziato, da un lato, che la direttiva 2000/78, seppur disponga l’obbligo di prevedere una soluzione appropriata per i disabili, non prescrive il mantenimento dell’occupazione di un lavoratore non più capace o, comunque, disponibile a effettuare “le funzioni essenziali del lavoro”. Risulta quindi lecita la finalità di assicurarsi della capacità e della disponibilità dei lavoratori a esercitare la loro attività professionale, ma i mezzi attuati a tal fine non devono eccedere quanto necessario a conseguirla.

Dall’altro lato i giudici europei hanno rilevato, con riferimento alle norme in esame sulla conservazione del posto, che allo scadere del periodo di comporto il datore di lavoro può licenziare senza obbligo di mettere in atto soluzioni ragionevoli o dimostrare che tali soluzioni costituirebbero per lui un onere sproporzionato, con conseguente pregiudizio della finalità perseguita dall’art. 5 della direttiva.

Ne deriva che le citate disposizioni della direttiva Ce 2000/78 non ostano a una normativa nazionale che preveda le indicate disposizioni in materia di conservazione del posto, a condizione tuttavia che: tale normativa nazionale non ecceda quanto necessario per conseguire la finalità di politica sociale consistente nell’assicurarsi della capacità e della disponibilità del lavoratore a esercitare la sua attività professionale e che detta normativa nazionale non costituisca un ostacolo al pieno rispetto dei requisiti previsti dall’art. 5, in materia di soluzioni ragionevoli che il datore di lavoro deve adottare al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili.

La Corte di Giustizia, in merito alla terza questione, ha poi affermato che l’indicato art. 5 della direttiva deve essere interpretato nel senso che una disposizione nazionale che preveda, a favore di un lavoratore assente per malattia, ma indipendentemente dalla sua eventuale disabilità, un periodo non retribuito di conservazione del posto di lavoro di 120 giorni, che si aggiunge a un periodo retribuito di conservazione del posto di lavoro di 180 giorni, non costituisce una “soluzione ragionevole” ai sensi di tale disposizione.

Si chiarisce infatti che la norma del CCNL che viene qui in rilievo, che disciplina l’indicata aspettativa generica, non tiene conto della eventuale disabilità dei lavoratori assenti per malattia. Di conseguenza, la previsione in essa contenuta non costituisce un provvedimento adottato dal datore di lavoro a favore di una persona disabile e, quindi, non può essere intesa come una soluzione ragionevole ai sensi dell’art. 5 della direttiva.

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