Ai familiari di persone con disabilità va garantita adeguata tutela
Il datore di lavoro è tenuto ad adottare i ragionevoli accomodamenti nei confronti di un lavoratore che fornisca al figlio l’assistenza necessaria
La direttiva Ce 2000/78, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretata nel senso che il divieto di discriminazione indiretta fondata sulla disabilità si applica anche al lavoratore che non sia egli stesso disabile, ma che sia oggetto di tale discriminazione a causa dell’assistenza fornita al figlio con disabilità. In conseguenza di ciò, il datore di lavoro è tenuto, per garantire il rispetto del principio di uguaglianza dei lavoratori e del divieto di discriminazione indiretta di cui all’art. 2 § 2 della menzionata direttiva, ad adottare soluzioni ragionevoli nei confronti di un lavoratore che, pur non essendo egli stesso disabile, fornisca al figlio con disabilità l’assistenza necessaria per ricevere le cure essenziali che le sue condizioni richiedono, purché tali soluzioni non impongano a detto datore di lavoro un onere sproporzionato.
Sono queste le conclusioni cui è giunta la Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la pronuncia depositata ieri, con riferimento alla causa C-38/24.
Nel caso in esame, una lavoratrice aveva domandato al datore di essere assegnata, in modo permanente, ad un posto di lavoro con orario fisso, così da potersi occupare del figlio minore con una grave disabilità e con la stessa convivente. La società, d’altro canto, non aveva dato seguito a tali richieste, concedendo tuttavia alcuni adeguamenti alle condizioni di lavoro della lavoratrice, a titolo provvisorio. A fronte di ciò, la lavoratrice aveva adito l’autorità giudiziaria, chiedendo di far dichiarare il carattere discriminatorio del rifiuto dell’azienda di accogliere la domanda di adeguamento permanente delle condizioni lavorative.
Nel corso dei primi due gradi di giudizio il ricorso veniva respinto: secondo i giudici di merito, la società aveva posto in essere soluzioni ragionevoli, tenendo conto dei “vincoli” della lavoratrice, ancorché tramite misure provvisorie.
Così, la lavoratrice aveva presentato ricorso in Cassazione che, a sua volta, aveva sollevato la questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia, domandando ai giudici eurounitari, tra le altre cose, se un lavoratore che si occupa del figlio minore con disabilità sia legittimato a far valere in giudizio la tutela contro la discriminazione indiretta fondata sulla disabilità di cui beneficia la persona disabile stessa e se, quindi, gravi sul datore di lavoro l’obbligo di adottare soluzioni ragionevoli per garantire il rispetto del principio di parità di trattamento.
Ebbene, rievocata la normativa eurounitaria in materia e, in particolar modo, il disposto di cui agli artt. 2 e 5 della direttiva Ce 2000/78, la Corte chiarisce come la circostanza per cui tali norme siano dirette alla tutela specifica delle persone con disabilità, non comporta che il principio di parità di trattamento sancito nelle stesse debba essere interpretato in senso restrittivo, vietando, cioè, soltanto le discriminazioni dirette, fondate sulla disabilità, giungendo quindi a tutelare solo le persone in tale condizione. Una siffatta interpretazione, sottolinea la Corte, potrebbe privare la direttiva di una parte importante del suo effetto utile, riducendo la protezione che essa intende garantire.
Quindi, il principio di parità di trattamento sancito nella direttiva Ce 2000/78, deve essere inteso come assenza di “qualsiasi discriminazione”, diretta o indiretta, anche nei confronti del lavoratore che non sia egli stesso disabile, ma che possa subire tale discriminazione in quanto assista un figlio con disabilità.
Chiarito ciò, i giudici europei precisano come, ai sensi dell’art. 5 della direttiva menzionata, per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, devono essere previsti i c.d. accomodamenti ragionevoli: il datore di lavoro deve cioè prendere provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, sempre che ciò non richieda da parte dell’azienda un onere sproporzionato. Sul punto la Corte, anche alla luce del disposto di cui agli artt. 24 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e degli artt. 2 e 7 della Convenzione Onu, chiarisce come gli accomodamenti ragionevoli non debbano essere limitati alle esigenze dei disabili sul luogo di lavoro, dovendo, tuttalpiù, essere riconosciuti anche ai lavoratori che forniscano l’assistenza diretta a consentire alle persone con disabilità di ricevere la parte essenziale delle cure richieste a seconda delle condizioni.
Tuttavia, sottolinea in conclusione la Corte, l’art. 5 della direttiva 2000/78 non obbliga il datore ad adottare misure che giungano ad imporgli un onere finanziario spropositato; per determinare se le misure in questione diano luogo a oneri sproporzionati è necessario tener conto, in particolare, dei costi finanziari che le stesse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’impresa.
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