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IMPRESA

Non punibile la falsa dichiarazione ininfluente per ottenere i contributi emergenziali

Escluso il rilievo penale se nella richiesta per il finanziamento previsto dal DL 23/2020 si è omesso di citare il provvedimento interdittivo antimafia

/ Maria Francesca ARTUSI

Mercoledì, 15 ottobre 2025

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La giurisprudenza penale ha avuto modo di affermare che in tema di legislazione volta al sostegno delle imprese colpite dalla crisi conseguente all’emergenza COVID-19, non si configurava il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.) nel caso in cui non si fosse allegata alla richiesta di fruire del contributo a fondo perduto, di cui all’art. 1 del DL 41/2021 convertito, la dichiarazione di essere stato destinatario di informazione interdittiva antimafia.
È stato infatti precisato che l’omessa dichiarazione della insussistenza delle condizioni di cui all’art. 67 del DLgs. 159/2011, che riguarda l’applicazione, con provvedimento definitivo, di una misura di prevenzione, è ostativa alla fruizione del predetto contributo. Tuttavia tra queste condizioni non rientra la citata interdittiva, in quanto provvedimento amministrativo incapacitante, avente natura cautelare e preventiva (cfr. Cass. n. 14731/2022).

La sentenza n. 33766, depositata ieri dalla Cassazione, torna sul tema in un caso in cui il legale rappresentante di una srl era stato ritenuto colpevole del delitto di false dichiarazioni (ai sensi dell’art. 76 del DPR 445/2000, in relazione all’art. 483 c.p.), nell’ambito di una procedura volta a ottenere il finanziamento previsto dal c.d. decreto liquidità (DL 23/2020), garantito dal fondo di garanzia delle piccole e medie imprese. Costui era accusato di aver inviato agli istituti di credito una falsa dichiarazione in cui attestava l’assenza delle cause di esclusione dalla possibile partecipazione alle procedure d’appalto e alle concessioni previste dall’art. 80 commi 1, 2 e 3 del DLgs. 50/2016 (Codice degli appalti allora vigente), così omettendo di citare il provvedimento interdittivo antimafia che aveva interessato la sua società.

Nell’imputazione si evidenziava che la materiale falsità della dichiarazione era pacifica, risultando dai documenti prodotti, e che il legale rappresentante, all’epoca del fatto, era perfettamente consapevole dell’interdittiva emanata nei confronti della srl che rappresentava (tanto da essersene doluto nelle sedi proprie) e, tuttavia, ciò nonostante, non l’aveva riportata nel modulo di richiesta del finanziamento (o della garanzia) al fine di ottenere i contributi che, altrimenti, non gli sarebbero stati concessi.

La Cassazione sposa qui quell’orientamento garantista e volto a guardare all’offensività concreta della condotta illecita sanzionata dal diritto penale.

Orientamento volto a guardare all’offensività concreta della condotta

I giudici di legittimità evidenziano pertanto come fosse vero che tale soggetto nell’attestare, nella istanza di concessione della garanzia di cui all’art. 1 del DL 23/2020, aveva autocertificato l’assenza, in capo alla società rappresentata delle ragioni di esclusione, quando, invece, la stessa srl era stata destinataria dell’informativa-interdittiva prevista dall’art. 84 del DLgs. 159/2011, citata, appunto, nell’art. 80 (allora vigente) comma 2 del Codice degli appalti come causa di esclusione dai rapporti economici con la Pubblica Amministrazione. La Suprema Corte ritiene però altrettanto vero che tale attestazione fosse di fatto ininfluente ai fine dell’ottenimento della garanzia.

Infatti, in sede di conversione del decreto liquidità, è stato aggiunto al testo l’art. 1-bis, nel quale si sono indicate le condizioni che il richiedente (la garanzia o il finanziamento) avrebbe dovuto autocertificare per ottenere la garanzia o il finanziamento oggetto della medesima, condizioni che l’originario decreto legge non aveva precisato.
In esso si fa riferimento all’art. 67 del Codice antimafia (DLgs. 159/2011), che a sua volta prende in considerazione i soli soggetti a cui era stata applicata una misura di prevenzione personale.
L’interdittiva antimafia prevista dall’art. 84 non rientra nel novero delle misure di prevenzione indicate e da questo la sentenza deduce che l’assenza delle condizioni di esclusione previste dall’art. 80 – falsamente attestata dall’imputato – era priva di rilievo ai fini dell’ottenimento delle provvidenze del decreto liquidità.

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