ACCEDI
Venerdì, 31 ottobre 2025 - Aggiornato alle 6.00

FISCO

Dividendi esclusi per il 95% dall’imponibile IRAP delle banche

La modifica intende adeguare la disciplina IRAP alla posizione adottata dalla Corte di Giustizia Ue

/ Marco FORESTI e Giosuè MANGUSO

Venerdì, 31 ottobre 2025

x
STAMPA

download PDF download PDF

L’art. 17 del Ddl. di bilancio 2026 modifica le modalità di concorso dei dividendi distribuiti da società o enti residenti o localizzati in uno Stato dell’Unione europea alla formazione della base imponibile IRAP degli intermediari finanziari e delle imprese di assicurazione, stabilendone l’esclusione per il 95% del relativo ammontare imputato a Conto economico già a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2025.

Il legislatore, dunque, ha inteso adeguare la disciplina IRAP alla posizione adottata dalla Corte di Giustizia Ue con la sentenza del 1° agosto 2025, riguardante le cause riunite da C-92/24 a C-94/24, che ha giudicato l’art. 6 comma 1 lettera a) del DLgs. n. 446/97 in contrasto con la direttiva n. 2011/96/Ue (c.d. “madre figlia”), laddove il predetto articolo assoggetta a imposizione IRAP il 50% dei dividendi distribuiti da società o enti residenti o localizzati negli Stati dell’Unione europea a società residenti in Italia.

In particolare, con la suddetta sentenza, la Corte di Giustizia Ue ha affermato come la Direttiva “madre-figlia” escluda che i dividendi Ue che concorrono per il 5% del loro ammontare alla formazione della base imponibile IRES della società “madre” debbano essere assoggettati ad ulteriori profili impositivi, e, nel caso dell’Italia, all’IRAP, per le tre seguenti motivazioni.

In primo luogo, dal punto di vista letterale, dalla formulazione dell’art. 4 par. 1 lettera a) della Direttiva “madre-figlia” risulta che uno Stato membro che abbia scelto il sistema dell’esenzione deve astenersi dall’assoggettare a imposizione gli utili che una società “madre” residente in tale Stato membro percepisce dalle sue società “figlie” residenti in altri Stati membri. La Corte ha constatato che l’applicazione di detta disposizione non è limitata ad un’imposta in particolare (cfr., in tal senso, la sentenza della stessa Corte di Giustizia Ue 17 maggio 2017 relativa alla causa C-365/16, punti 5 e 33).

Inoltre, sul piano contestuale, l’art. 2 della Direttiva 2011/96/Ue definisce le società che rientrano nel suo ambito di applicazione, elencando le imposte nazionali alle quali tali società sono normalmente assoggettate (v., per analogia, la sentenza 8 giugno 2000 relativa alla causa C-375/98, punto 22). Pertanto, se tale articolo 2 definisce l’ambito di applicazione ratione personae di detta direttiva, tale articolo non è invece pertinente al fine di determinare l’ambito di applicazione ratione materiae di quest’ultima.

Infine, la Direttiva 2011/96/Ue persegue l’obiettivo di eliminare la doppia imposizione economica degli utili distribuiti da una società “figlia” alla sua società “madre”, avendo riguardo all’imposizione complessiva subita dall’utile in sede di sua produzione. Pertanto, poiché la finalità della Direttiva 2011/96/Ue è evitare la doppia imposizione di tali utili “in termini economici”, tale sistema di esenzione riguarda qualsiasi imposta che, nello Stato membro di residenza della società “madre”, includa nella propria base imponibile anche solo una parte di detti utili, quale che sia la natura dell’imposta in questione.

Tenendo conto delle suddette motivazioni, i giudici unionali hanno dichiarato che “l’articolo 4 della direttiva 2011/96 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale mediante la quale uno Stato membro che ha scelto il sistema dell’esenzione può assoggettare a imposizione, in misura superiore al 5% del loro importo, i dividendi che gli intermediari finanziari residenti in tale Stato membro percepiscono, in quanto società madri ai sensi di detta direttiva, dalle loro società figlie residenti in altri Stati membri, anche nel caso in cui tale imposizione venga realizzata mediante un’imposta che non è un’imposta sui redditi delle società, ma che include nella sua base imponibile tali dividendi o una loro frazione”.

Dal dispositivo della sentenza non sembra emergere chiaramente il contenuto delle precedenti motivazioni, ovvero che l’art. 4 della Direttiva 2011/96/Ue esclude ulteriori profili impositivi dei dividendi unionali indipendentemente dalla tipologia di imposta, circostanza che non escluderebbe la possibilità che i medesimi dividendi possano essere assoggettati, sempre in misura non superiore al 5% del loro importo, ad altre forme di imposizioni, come l’IRAP.

Ed è proprio quest’ultima lettura che sembrerebbe essere stata accolta dall’art. 17 del Ddl. di bilancio 2026 nella misura in cui ha escluso dalla base imponibile IRAP delle società “madri” determinata ai sensi degli artt. 6 e 7 del DLgs. n. 446/97 soltanto il 95% dei dividendi distribuiti dalle società “figlie”.
Tuttavia, questa interpretazione sottesa al citato articolo 17 potrebbe portare a sostenere che l’esclusione dalla base imponibile IRAP debba riguardare l’intero ammontare dei dividendi, valorizzando le motivazioni della citata sentenza relativa alle cause riunite da C-92/24 a C-94/24 e, in particolare, il divieto di doppia imposizione dei dividendi in termini economici.

TORNA SU