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Mercoledì, 5 novembre 2025 - Aggiornato alle 6.00

ECONOMIA & SOCIETÀ

Manovre speculative punibili solo con serio pericolo per l’economica pubblica

La condotta deve avere una particolare capacità pervasiva ed espansiva dell’aumento dei prezzi tale da contagiare una fetta significativa di mercato

/ Maria Francesca ARTUSI

Mercoledì, 5 novembre 2025

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Nel nostro ordinamento penale è previsto un reato che punisce quelle manovre speculative tali da determinare la rarefazione oppure il rincaro delle merci sul mercato interno o ancora, in presenza di fenomeni di rarefazione o di rincaro sul mercato interno, la sottrazione all’utilizzazione o al consumo di rilevanti quantità di merci. Si tratta dell’art. 501-bis c.p. introdotto dal DL 704/1976 convertito e collocato tra i delitti contro l’economia pubblica.
Il reato è di pericolo (ma non vi è unanimità di vedute in dottrina se si tratti di un pericolo concreto o astratto) e a dolo generico.

La pronuncia n. 35936 della Cassazione depositata ieri evidenzia come i fini della configurabilità di tale reato sia necessario che la condotta speculativa, posta in essere da colui che esercita un’attività produttiva o commerciale con una certa stabile continuità, comporti un aumento ingiustificato dei prezzi di beni di prima necessità, tale da determinare – per le dimensioni dell’impresa, la notevole quantità delle merci oggetto della manovra e la possibile influenza sui comportamenti degli altri operatori del mercato – una situazione di serio pericolo e di eventuale nocumento per l’economica pubblica generale, con effetti, quindi, non limitati in un ambito meramente locale di mercato.

Si noti che, però, l’interpretazione giurisprudenziale prevalente ritiene che la nozione di “mercato interno” si riferisca non solo al mercato nazionale, ma anche al “mercato locale”, sempre che il pericolo della realizzazione degli eventi dannosi riguardi una zona abbastanza ampia del territorio dello Stato, in modo da poter nuocere alla pubblica economia.

Nel caso affrontato dalla sentenza in commento, l’accusa aveva contestato di aver acquisito (e rivenduto a prezzi speculativi, con un rincaro di più del 1500%) circa novemila mascherine nell’epoca della pandemia da COVID-19.
La Corte d’appello aveva invece assolto l’imputata, in quanto era emerso che la condotta posta in essere non aveva determinato un concreto pericolo per il mercato interno, avuto riguardo al fabbisogno nazionale specifico di milioni di mascherine a causa della pandemia.

Il caso riguarda mascherine vendute durante la pandemia da COVID-19

Tale interpretazione è in linea di continuità con altre pronunce relative casi di attività speculative sulle mascherine, nonché con i pochi precedenti noti che hanno avuto a oggetto l’art. 501-bis c.p. (cfr. Cass. n. 36929/2020). La Cassazione dà, infatti, atto che sono rimasti isolati i precedenti di merito che avevano ritenuto configurabile il reato a fronte di mere condotte speculative aventi a oggetto poche migliaia di presidi medici.

In conclusione viene confermato che il fatto non sussiste in quanto, come detto, la condotta lesiva deve avere una particolare capacità pervasiva ed espansiva dell’aumento dei prezzi tale da contagiare una fetta significativa di mercato. Circostanza esclusa nel caso in esame alla luce del fatto che la scarsità di beni sul mercato non è dipesa dalla condotta speculativa, ma dalle contingenze storiche ed economiche.

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