Limiti al rilascio del DURC in sede di composizione negoziata
È inammissibile l’applicazione delle misure cautelari ai fini dell’accertamento dei presupposti per il rilascio del DURC
Il documento unico di regolarità contributiva, c.d. DURC, che assume rilievo per le imprese sia nel sistema dei finanziamenti pubblici sia in quello della partecipazione alle gare di appalto, può essere conseguito, salva l’operatività di norme che vietano il pagamento dei debiti anteriori, solo in assenza di debiti contributivi dell’impresa.
Una società che accede alla composizione negoziata, laddove abbia interesse ad ottenere il DURC, deve porsi nella condizione di non avere debiti ostativi, ovvero di raggiungere rapidamente, anche attraverso meccanismi di rateazione, una soluzione negoziata che renda possibile il rilascio del documento.
La competenza a provvedere in materia di DURC, secondo la giurisprudenza, è del giudice del lavoro ovvero del giudice amministrativo (Trib. La Spezia 18 luglio 2022, Trib. Bergamo 8 settembre 2021, Trib. Barcellona Pozzo di Gotto 10 ottobre 2022 e Trib. Cosenza 23 marzo 2023).
Ciò premesso, il Tribunale di Roma 23 settembre 2025 ha affrontato la questione dell’ammissibilità di un provvedimento cautelare finalizzato all’accertamento di una situazione soggettiva consistente nel diritto al DURC, rispondendo in senso negativo.
Secondo il Tribunale, infatti, è inammissibile, in sede di composizione negoziata, l’applicazione delle misure cautelari ai fini dell’accertamento dei presupposti per il rilascio del DURC.
La composizione negoziata, diversamente dalle procedure concorsuali, non prevede alcun divieto di pagamento di crediti anteriori (e, pertanto, non è applicabile l’art. 3 comma 2 lett. b) del DM 30 gennaio 2015, secondo il quale la regolarità contributiva sussiste in caso di sospensione dei pagamenti in forza di disposizioni legislative).
Relativamente al caso de quo, i giudici osservano come fosse pacifica la mancanza della regolarità nel versamento dei contributi, che rappresenta il presupposto per il rilascio del DURC. La concessione della misura, quindi, sarebbe avvenuta in violazione della normativa primaria e secondaria vigente, difettando il presupposto della regolarità contributiva.
Il Tribunale si sofferma, altresì, sul possibile ambito di applicazione delle misure cautelari, che hanno contenuto diverso rispetto alla tutela già accordata dalle misure protettive.
Tali misure cautelari, in particolare, sono funzionali ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative (art. 2 lett. q) del DLgs. 14/2019) e per condurre a termine le trattative (art. 19 comma 1 del DLgs. 14/2019), ma non, invece, all’attuazione del piano (per il quale è necessaria l’adesione finale dei creditori).
Le misure, invece, non possono produrre effetti – di accertamento o costitutivi – che sono ordinariamente dipendenti, in via esclusiva, da una pronuncia di merito (Cass. n. 10986/2021).
Inoltre, non possono produrre effetti che non sarebbero conseguibili neppure in un giudizio di merito, avendo quale presupposto la legittimità della misura richiesta, ossia il c.d. fumus boni iuris né possono avere l’effetto di disapplicare le norme di legge (ad esempio, non potrebbe ordinarsi di non tener conto di un pignoramento anteriore all’efficacia delle misure, al fine di “sbloccare” somme vincolate, sebbene necessarie alla continuità aziendale, ovvero l’ammissione ad una gara per l’assegnazione di un appalto in assenza dei requisiti previsti dalla legge o dal bando).
Le misure cautelari non possono tradursi in un mezzo per eludere l’applicazione di norme di legge solo perché quella elusione sia oggettivamente funzionale al buon esito delle trattative, altrimenti assumerebbero una valenza di “licenza di deroga” che, tuttavia, non è espressamente prevista.
Tali misure, inoltre, pur avendo (astrattamente) come destinatari anche i terzi, hanno come ambito di riferimento i rapporti contrattuali preesistenti (non potrebbe ad esempio, ordinarsi la concessione di un finanziamento ex novo, cfr. Trib. Modena 22 giugno 2024). All’interno di tali rapporti deve avvenire la realizzazione di quei comportamenti che, secondo buona fede, potrebbero ritenersi esigibili in pendenza di trattative. Il comportamento “secondo buona fede” costituisce non solo un “canone” di esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c., ma anche un dovere delle parti ex artt. 4 e 16 comma 6 del DLgs. 14/2019.
Le misure cautelari, infine, possono imporre, nell’ambito di un pregresso rapporto contrattuale, un “pati” al destinatario, ma non un “facere” (salvo che sia previsto diversamente dalla legge), ma non possono, in ogni caso, imporre un sacrificio che appaia sproporzionato o eccessivo al destinatario.
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