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LAVORO & PREVIDENZA

Eliminato il divieto di ridurre i salari in caso di indicizzazione automatica

La Corte di Giustizia Ue ha annullato le disposizioni della direttiva sul salario minimo che comportano un’ingerenza diretta del diritto dell’Ue

/ Giada GIANOLA

Giovedì, 13 novembre 2025

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La Corte di Giustizia europea, con la sentenza n. C-19/23 dello scorso 11 novembre, è intervenuta sulla direttiva Ue 2022/2041 relativa ai salari minimi adeguati nell’Unione europea, che istituisce un quadro per l’adeguatezza dei salari minimi legali al fine di conseguire condizioni di vita e di lavoro dignitose, per la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari nonché per il miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo ove previsto dal diritto nazionale e/o da contratti collettivi. Con tale decisione, in particolare, sono state annullate alcune parti dell’art. 5 della direttiva, che riguarda la procedura per la determinazione di salari minimi legali adeguati.

In Italia il salario minimo non è stabilito per legge, e quindi non esiste un salario minimo legale, essendo invece la contrattazione collettiva la protagonista in materia. Si ricorda, infatti, che recentemente è entrata in vigore la legge delega (L. 144/2025) con cui il Governo è stato delegato ad adottare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva e di perfezionamento della disciplina dei controlli e sviluppo di procedure di informazione concernenti la retribuzione dei lavoratori e la contrattazione collettiva (si vedano “In dirittura d’arrivo la legge delega sulla retribuzione giusta ed equa” del 25 settembre 2025 e “Il Governo dovrà individuare i contratti leader” del 2 ottobre 2025).
La decisione in commento, intervenendo sul citato art. 5, va invece a incidere nell’ordinamento degli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali.

Tale norma, al § 1, prescrive in capo a tali Stati l’obbligo di istituire le necessarie procedure per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali, che devono basarsi su “criteri stabiliti per contribuire alla loro adeguatezza”. Si precisa inoltre che gli Stati membri possono decidere il peso relativo di tali criteri, compresi gli elementi di cui al successivo § 2, tenendo conto delle rispettive condizioni socioeconomiche nazionali.

Al § 2 l’art. 5 elenca quindi gli elementi che devono essere presi in considerazione da tali criteri, vale a dire: il potere d’acquisto dei salari minimi legali, tenuto conto del costo della vita; il livello generale dei salari e la loro distribuzione; il tasso di crescita dei salari; i livelli e l’andamento nazionali a lungo termine della produttività.

Al § 3 viene poi confermata la facoltà degli Stati membri di ricorrere a un meccanismo automatico di adeguamento dell’indicizzazione dei salari minimi legali, a condizione però che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale e fatti comunque salvi gli obblighi stabiliti dall’art. 5 stesso.
La Corte ha ritenuto che tali specifiche disposizioni comportassero un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, con conseguente annullamento della parte di frase “compresi gli elementi di cui al paragrafo 2” di cui al § 1, del § 2 nonché della parte di frase contenuta nel § 3 “a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale”.

Tale incidenza diretta, non consentita in quanto esulante dalle competenze legislative dell’Unione, deriva in particolare dall’imposizione di utilizzare gli elementi indicati al § 2 nelle procedure di determinazione e di aggiornamento dei salari minimi legali e dall’imposizione di una clausola di non regresso del livello dei salari minimi legali agli Stati membri che utilizzano un meccanismo automatico di indicizzazione.

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