Esclusa l’esterovestizione se non si dimostra la costruzione artificiosa
Deve essere accertata l’apparente localizzazione all’estero della società
Con le sentenze nn. 32155 e 32156, depositate il 10 dicembre 2025, la Corte di Cassazione ha nuovamente confermato l’impostazione secondo cui l’esterovestizione è un fenomeno che si verifica in presenza di costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica, il cui scopo essenziale è limitato all’ottenimento di un vantaggio fiscale.
Gli interventi giurisprudenziali in commento riguardano una società lussemburghese (totalmente posseduta da due fratelli residenti in Italia) che a sua volta deteneva il controllo di una società italiana operante nella produzione commercio di orologi di marca.
Al fine di accertare se una società estera controllata da una società italiana abbia la sua residenza fiscale in Italia, l’art. 73 comma 3 del TUIR deve essere interpretato nel senso che la determinazione del luogo della sede dell’attività economica di una società implica l’analisi di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società.
Le sentenze in commento precisano che possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie.
Come nella sentenza n. 23842/2025, si osserva che la giurisprudenza dell’Unione europea ha stabilito che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce di per sé un abuso della libertà di stabilimento; una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa solo se concerne costruzioni di puro artificio volte a eludere la normativa dello Stato membro interessato (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, causa C-196/04).
Le sentenze in argomento ritengono, dunque, che quel che deve essere accertato, ai fini della corretta applicazione dell’art. 73 comma 3 del TUIR, è l’apparente localizzazione all’estero di un soggetto.
In particolare, la sentenza n. 32155/2025 afferma che “quel che rileva non è accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma accertare se il trasferimento in realtà vi è stato o meno, se, cioè, l’operazione sia meramente artificiosa (wholly artificial arrangement), consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica”.
Nel caso di specie e per il medesimo soggetto, in sede penale si è affermato che non può̀ costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della “direzione effettiva” l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative.
Occorre, infatti, accertare che la società̀ estera non sia una costruzione di puro artificio non essendo le società̀ esterovestite, per ciò soltanto, prive della loro autonomia giuridico-patrimoniale e, quindi, automaticamente qualificabili come schermi.
In conclusione, la sentenza della Cassazione n. 32155/2025 fa propria l’impostazione adottata in sede penale secondo cui il concetto di sede dell’amministrazione non può coincidere “sic et simpliciter” con l’attività di direzione e coordinamento che la capogruppo, o comunque la controllante, esercita sulla controllata. Si precisa, quindi, che “lo spostamento effettivo, presso la controllante, della sede dell’amministrazione della consociata presuppone, un grado di eterodirezione concreta superiore, integrando una fattispecie in cui la società controllante assume i connotati di un vero e proprio amministratore indiretto della società controllata, della quale usurpa l’impulso imprenditoriale, sottraendole ogni prerogativa sovrana in ordine alla propria operatività e riducendola a “mero satellite o dipendenza”.
Alla luce di tali circostanze, la Suprema Corte ha confermato le sentenze di secondo grado che hanno considerato carente la contestazione dell’Ufficio relativa alla presenza in Italia della sede della direzione effettiva della società lussemburghese controllante.
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