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EDITORIALE

Fisco: una comunicazione tira l’altra

/ Enrico ZANETTI

Lunedì, 10 gennaio 2011

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Oggigiorno la comunicazione è tutto.
Lo sanno i politici, lo sanno le imprese, lo sanno anche i liberi professionisti: se non fai nulla, ma lo comunichi molto bene, vai avanti; se sei integerrimo, hai un buon prodotto o comunque sei in gamba, ma non lo sai comunicare, vai a casa.
Lo sa evidentemente anche chi gestisce la macchina del Fisco italiano: un pezzetto alla volta, siamo ormai arrivati al regime della comunicazione permanente. Si comunica tutto, si comunica sempre: le operazioni attive e passive di importo superiore a 3.000 euro (3.600 se effettuate verso privati); le operazioni intracomunitarie da annotare sugli elenchi riepilogativi INTRASTAT, moltiplicatesi a dismisura dopo l’estensione dell’obbligo anche alle prestazioni di servizi; le dichiarazioni di intento ricevute che gli esportatori abituali emettono ai loro fornitori; le operazioni intrattenute con soggetti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata.
Il tutto in aggiunta ai naturali obblighi dichiarativi annuali ai fini delle diverse imposte.

Man mano che si stratificano, ci viene spiegato in modo sempre più accorato che, per quanto spiacevoli, ciascuno di essi è a dir poco fon-da-men-ta-le per consentire un’efficace lotta all’evasione fiscale: sia quella domestica “fai da te”, contro la quale servono dati per rendere efficace il nuovo redditometro come strumento di massa, sia quella che fa leva sui rapporti con l’estero, a cominciare dal vorticoso giro di frodi IVA.

Eppure alcuni conti non tornano.
Gli INTRASTAT, ad esempio: la modulistica italiana è quattro volte più articolata della modulistica di Paesi come la Francia o la Germania. Ciò non di meno, anche di recente, in occasione di un convegno organizzato dal coordinamento degli Ordini dei dottori commercialisti e degli esperti contabili della Lombardia, i vertici dell’Agenzia delle Entrate hanno ribadito che non è loro intenzione semplificarli.
Per non parlare della scarsa, se non nulla, considerazione nei confronti degli intermediari fiscali che rendono possibile questa escalation informatica e telematica “a tappeto”, ossia anche nei confronti di quel 95% di partite IVA prive del mix di competenze tecniche e struttura organizzativa necessarie per interagire a questo livello e con questa intensità con il Fisco più telematico del mondo.

Perché, prima di introdurre un nuovo adempimento, le rappresentanze degli intermediari fiscali, a cominciare da quelle dei commercialisti che ne costituiscono la componente maggioritaria e più qualificata, non vengono mai convocate per spiegarne i sottostanti processi informativi e documentarne quindi l’effettiva utilità in un modo più serio e concertato del mero atto di fede che, viceversa, viene di volta in volta richiesto a posteriori?
Non migliorerebbe certo la situazione per quel che attiene alla moltiplicazione dei costi che questa moltiplicazione degli adempimenti telematici determina sugli studi, senza produrre alcuna moltiplicazione dei ricavi, ma aiuterebbe almeno a sentirsi interlocutori tecnici anziché conto terzisti informatici.

Dopodiché siamo i primi a essere convinti che nel 2011 proseguirà il miglioramento dei dati di recupero e contrasto dell’evasione fiscale, ma ci mancherebbe altro che così non fosse: con il vero e proprio Stato di polizia fiscale che è stato progressivamente instaurato in questi ultimi due anni, non sarebbe un successo da sbandierare, ma il minimo sindacale che è lecito aspettarsi a fronte di tanti fastidi e scocciature anche per chi non evade affatto e per i suoi professionisti che vorrebbero certo potergli dedicare più tempo per aiutarlo a fare di più, piuttosto che per aiutarlo a comunicare quello che ha fatto.

Oltre alla moltiplicazione delle comunicazioni, ricordiamo infatti che negli ultimi due anni abbiamo assistito anche all’apposizione di stringenti vincoli sulla possibilità di utilizzare in compensazione i crediti IVA; a un rafforzamento delle procedure della riscossione dei tributi che spesso, nel modo di agire di Equitalia, assume più i toni della ferocia che non quelli dell’efficienza; nonché ad altre misure e misurette a senso unico “pro Fisco”.

In Italia, il primo “pagatore moroso” è lo Stato

Il tutto in un Paese in cui, ricordiamolo, il primo pagatore moroso è lo Stato stesso e la giustizia civile, prima ancora che quella penale, è rimessa alla legge del più forte: non vince chi ha ragione, ma chi riesce a resistere in causa fino alla resa o al fallimento della controparte.

Se poi pensate che tutto questo è stato fatto mentre al Ministero dell’Economia siede Tremonti (l’uomo che nel 2008, appena insediato, si fece salutare proprio dai commercialisti italiani con un “welcome” a tutta pagina sui giornali, per la soppressione di taluni adempimenti appena introdotti da Visco) e Primo Ministro è Berlusconi (il politico che più di tutti afferma a voce alta la natura controproducente di un Fisco troppo oppressivo), ebbene: si torna al punto da cui siamo partiti all’inizio di queste riflessioni.
Non conta quello che fai: oggigiorno la comunicazione è tutto.
C’è o non c’è da rovinarsi il fegato?

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