ACCEDI
Sabato, 21 giugno 2025 - Aggiornato alle 6.00

LETTERE

Da sempre, per i ragionieri è previsto un esame di Stato

Lunedì, 25 luglio 2011

x
STAMPA

Caro Direttore,
la questione dell’esame di Stato dei ragionieri, pur non essendo attuale, è ancora oggetto di interesse (si veda “Nel nostro Albo, professionisti con e senza esame di Stato”). Come vicepresidente del CNDCEC, ritengo di dover intervenire, perché credo che rientri nel ruolo degli organi istituzionali la responsabilità di difendere dignità e decoro di tutti, indistintamente, gli iscritti nell’albo e, nella fattispecie, nella sezione “commercialisti”, tra i quali l’unica distinzione operata dalla legge riguarda il titolo professionale. Mi corre quindi l’obbligo di fornire alcune precisazioni, giacché sono state rese affermazioni inesatte, a partire da quella secondo cui l’ordinamento della professione di ragioniere non avrebbe previsto un vero e proprio esame di Stato per l’accesso nell’albo fino al DM 8 novembre 1996, e che quindi i “primi” esami di Stato per l’accesso alla professione sarebbero stati quelli dell’ottobre e dicembre 1997.

Se le cose stessero come sono state riferite, le relative norme sarebbero presto cadute sotto la scure della Corte costituzionale, giacché l’art. 33 Cost. prescrive che alle professioni si acceda mediante esame di Stato. In uno Stato di diritto l’ultima parola spetta al giudice e il giudice ha parlato in modo inequivocabile, sia in tempi risalenti, che, da ultimo, pochi anni or sono, allorquando la questione è stata portata alla cognizione di numerosi TAR. Quando l’opposizione politica al processo di unificazione degli albi dei dottori commercialisti e dei ragionieri è divenuta “opposizione giudiziaria”, con la presentazione di numerosi ricorsi in tutta Italia, la questione è tornata infatti di attualità: chi si opponeva all’unificazione asseriva, peraltro, tra i motivi di doglianza, che le categorie non potessero confluire in un unico albo anche perché per molto tempo i ragionieri non avevano sostenuto l’esame di Stato.

La Corte costituzionale, fin dalla sentenza 9 marzo 1972 n. 43, ha precisato che l’esame di abilitazione per l’esercizio della professione di ragioniere ha natura di vero e proprio esame di Stato, evidenziando come l’ordinamento della professione di ragioniere reso con DPR n. 1068/1953, nell’esercizio di una delega prevista dalla L. n. 3060/1952, non abbia abrogato la disciplina del 1906: “risulta con sicurezza che sono tuttora in vigore, sul punto relativo ai requisiti richiesti per l’iscrizione nell’albo e per l’esercizio pubblico della professione di ragioniere, le norme di cui alla legge n. 327 del 1906 (art. 2, comma secondo, lettera d), ed al relativo regolamento d’esecuzione (r.d.l. n. 715 del 1906, artt. 18-23), non essendo state le stesse abrogate o derogate da norme successive ed in particolare da quelle di cui alla legge n. 3060 del 1952 (articolo unico) e al d.P.R. n. 1068 del 1953 (articolo 31, nn. 4 e 5)”. Dal che deriva che data la vigenza della legge del 1906 – laddove prevede l’esame di Stato per l’accesso alla professione di ragioniere – non sussiste alcuna violazione dell’art. 33 Cost. La sentenza riportata conclude infatti: “Non viola per tanto il detto precetto costituzionale l’art. 2, comma secondo, lettera d, della legge n. 327 del 1906: sono, infatti, ed in particolare, tenuti distinti l’esame di Stato a conclusione del ciclo degli studi, e l’altro, parimenti di Stato, a carattere e fine professionale.” Da sempre, dunque, per l’accesso alla professione di ragioniere è stato previsto un vero e proprio esame di Stato. Fin dalla legge del 1906.

Da diversi anni, poi, con la L. n. 183/1992, è stato altresì necessario per l’iscrizione nell’albo l’aver conseguito un titolo di studio universitario, e più precisamente un diploma universitario triennale, oppure la laurea in giurisprudenza, o ancora la laurea in economia e commercio (cfr. art. 31 del DPR n. 1068/1953, come modificato dalla L. n. 183/1992). È a tutti noto che con gli interventi normativi dei primi anni ’90 (per i ragionieri la citata L. n. 183/1992; per i dottori commercialisti, la L. n. 2061992), le due professioni, già omogenee quanto ad area di attività professionali esercitate, si sono avvicinate anche quanto a percorso di accesso: per i ragionieri è stata introdotta la necessità del titolo universitario; per i dottori commercialisti è stato introdotto il necessario tirocinio professionale, prima non previsto.
Come si è visto, dunque, quello dei ragionieri è sempre stato un esame di Stato. Lo disse in tempi non sospetti la Corte costituzionale, quando l’unificazione degli albi era ben al di là dall’essere solo immaginata. Lo hanno confermato i molti TAR che hanno conosciuto del contenzioso innescato dagli atti prodromici all’unificazione, quando il tema è ritornato “caldo”, ed è stato utilizzato per contrastare – invano – il processo. Nessun TAR ha ritenuto che l’argomento fosse degno di apprezzamento: in tutti i procedimenti pendenti il Giudice amministrativo ha ritenuto l’eccezione de qua manifestamente infondata.
A parte ciò, non ritengo che giovino alla categoria speciosi distinguo interni, che servono solo ad incrinarne l’immagine compatta, propagata dagli organi istituzionali in attuazione dell’unificazione ed i cui benefici effetti vengono, ormai, largamente riconosciuti in ogni contesto.


Francesco Distefano
Vicepresidente del CNDCEC

TORNA SU