Dobbiamo riportare l’Italia in Europa
Bisogna rimettere al centro le imprese, abbassare il carico fiscale per i lavoratori dipendenti, realizzare una riforma tributaria in senso federale
Pubblichiamo un intervento di Andrea Tavecchio, dottore commercialista in Milano e animatore, insieme ad altri professionisti e imprenditori, del blog Quarantamila 2.0 edito dal quotidiano online Linkiesta.
Il nostro Paese vive un momento drammatico.
C’è difficoltà crescente in molte famiglie, il risparmio e la ricchezza si stanno assottigliando, c’è un disagio occupazionale in espansione, nelle imprese si aspetta ad investire, le banche cominciano ad alzare i tassi.
Se si dovesse fermare il credito bancario, sarebbe l’avvitamento definitivo della crisi.
Occorre uno scatto d’orgoglio, non possiamo subire senza reagire al downgrade del nostro Paese.
Il deterioramento della situazione, da agosto in poi, ha cause esterne, dovute alla titubanza europea nel trovare una soluzione alla crisi greca, a cui si aggiungono cause interne, strutturalmente irrisolte.
I problemi sono noti: debito pubblico imponente, immobilismo sulle riforme strutturali, record di pressione fiscale sui produttori, scarsa crescita e poca occupazione.
Il punto centrale è che gli investitori, sia italiani che internazionali, non hanno più fiducia nella capacità della politica italiana non solo di risolvere, ma persino di capire la serietà dei problemi che ci stanno di fronte.
Le soluzioni ad oggi approntate, con il continuo ridisegnarsi della manovra economica, sono ancora inadeguate a risolvere il problema e condannano il Paese a una lunga stagione di recessione, oppressione fiscale, riduzione indiscriminata dei servizi pubblici, senza toccare in modo significativo gli sprechi, i privilegi, le rendite, i veri nodi che bloccano il Paese.
Di fronte ai pesanti sacrifici richiesti alle imprese, alle famiglie e alle Amministrazioni locali, non si riesce a individuare nessun beneficio prospettico. Anzi, di questo passo rischiamo di diventare vittime di nuove tasse e di un’ondata di privatizzazioni contro l’interesse nazionale.
Non è però solo colpa della politica.
Vista dall’esterno, l’Italia è un Paese che non può ispirare fiducia: appare sempre più diviso, paralizzato dai veti incrociati di troppe corporazioni, in preda a una rissa continua, incapace di elaborare un progetto, una storia in cui credere, una visione convincente del suo futuro.
Il sistema Paese ha una necessità estrema di serietà e di cambiamento.
La posta in gioco è altissima.
La situazione italiana ha, infatti, un effetto domino anche sulla stabilità dell’euro: senza l’Europa e senza l’euro, sarebbe il caos sociale ed economico, con conseguenze inimmaginabili.
È giunta l’ora di dimostrare di avere dignità e orgoglio e reagire con gesti concreti e con vero spirito nazionale.
Bisogna che si torni a parlare subito e solo di riforme, di crescita, di creazione di occupazione, di welfare sostenibile: queste sono le vere priorità.
Bisogna rimettere al centro chi rischia e crea lavoro. È necessario incentivare la nascita e la crescita delle aziende. È solo con la capacità di produrre ricchezza che usciremo da questo vicolo cieco. La competitività delle imprese è il motore del Paese.
Bisogna abbassare il carico fiscale per i lavoratori dipendenti e ridurre le aliquote sugli utili d’impresa, togliendo in tal modo ogni possibile giustificazione morale all’evasione. Solo così si può avviare una guerra senza quartiere all’evasione e al lavoro in nero.
Bisogna fare senza indugio un’autentica riforma fiscale in senso federale, che deve essere un modo per responsabilizzare gli amministratori e diminuire i trasferimenti di sussidio a politiche di spesa clientelare. Abolire l’ICI e togliere i trasferimenti ai Comuni virtuosi sono due esempi di quello che è sbagliato fare.
È fondamentale un cambio di passo. Non possiamo affondare. Dobbiamo riportare l’Italia in Europa, subito.
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