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LETTERE

Chi non è parassita scagli la prima pietra

Martedì, 13 marzo 2012

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Caro Direttore,
ho apprezzato molto, e condivido, il tuo editoriale intitolato “Corruzione ed evasione due facce della stessa medaglia” dello scorso 8 marzo.
Quello che posso aggiungere a quanto scrivi è che tu hai fatto un’analisi dei parassiti, per così dire, “giuridica”, mentre io la vorrei fare su un piano più ampio, quello economico-naturalistico che poi è, se vogliamo, anche quello etico.

A tal fine, prendo a prestito la definizione di “ladro” coniata da un poco conosciuto filosofo americano, Paul Blair: tale è “chi si impadronisce della proprietà altrui senza utilizzare le appropriate procedure statali”.
In questa definizione rientrano certamente l’evasore e il corrotto. Ma se ci liberiamo, per una volta, da quel residuo di ideologia del positivismo giuridico secondo cui “è giusto ciò che conforme alla legge”, e adattiamo la definizione di Blair al parassita, la sua definizione diventa: “chi vive a spese del denaro altrui”. Punto.

E allora si vede che la categoria dei parassiti della società si amplia a dismisura. Sono parassiti quelle aziende i cui profitti sono privati e le cui perdite sono socializzate; sono parassiti tutti quei pensionati (baby o meno) i quali, non essendo in stato di bisogno, ricevono molto più di quanto abbiano mai versato nella loro vita lavorativa, rompendo l’equilibrio finanziario-attuariale e appropriandosi della ricchezza altrui; sono parassiti quelli che, lavorando nel settore pubblico, incassano molto più di quello che rendono in quantità e qualità di prestazioni lavorative, valutate a “valore normale”; sono parassiti i politici che sprecano il denaro pubblico, per incapacità, per cercare consenso e voti, per arricchire se stessi o i loro amici; e via dicendo. 

Parassita, talora, è pure lo Stato, quando si appropria di una parte sempre più significativa della ricchezza prodotta dai cittadini, con il loro duro lavoro, con l’intrapresa, con la messa a frutto di un capitale, finanziario o umano che sia, senza restituire alla collettività servizi il cui valore – per quantità e qualità – sia proporzionato a ciò che è stato loro sottratto. E, per di più, si lamenta perché i soldi che incassa non gli bastano mai.

L’odierna società è piena di parassiti, di ogni specie, legali e illegali, e tutti cercano di vivere a spese di tutti. Se questo è possibile “secondo la legge” tanto meglio, al punto che la legislazione diviene una piramide di privilegi in cui tutti ci perdono, chi più chi meno, ma il sistema resta tale, mantenendosi e sviluppandosi. Come dici, il sistema difende se stesso: è la difesa dello status quo, che viene fatta spesso usando a sproposito l’argomento della “giustizia sociale” per giustificare ogni nefandezza.

Questa è la società del benessere, dello spreco, dei desideri che diventano diritti, dei diritti che non si accompagnano più ad alcun dovere e della libertà che si dissocia dalla responsabilità.
Ciò che dispiace di più è che le discussioni sul parassitismo sono sempre, ipocritamente, a senso unico: ciascuno dimentica i privilegi di cui gode e addossa la colpa sempre agli altri, mentre, in realtà, spesso sente la rabbia di non potersi appropriare impunemente della ricchezza altrui, come altri invece fanno. Un esempio è dato da quelli che vorrebbero una patrimoniale da lacrime e sangue come soluzione a tutti i problemi: se li si interroga per un po’, si scopre che pensano che saranno gli altri, e non loro, ad essere saccheggiati, e tutto sommato ritengono che non sia possibile accumulare più denaro di quanto loro posseggono, in modo onesto.

Il problema è che molti (troppi), in questi anni, hanno pasteggiato al ristorante della società a caviale e champagne e, ora che la festa è finita, l’oste ha pronto il conto. E costoro fanno del loro meglio perché il conto sia pagato non da chi ha consumato o da chi intende continuare tranquillamente a farlo, ma da quelli che non solo non hanno assaggiato nulla, ma neppure si sono avvicinati al tavolo del banchetto.

Oggi ho sentito che gli svizzeri hanno votato un referendum, promosso dai sindacali locali, in cui veniva loro proposto di aumentare il minimo legale delle ferie per i lavoratori dipendenti da 4 a 6 settimane l’anno. Il popolo lo ha bocciato. Non oso pensare cosa sarebbe accaduto se un simile referendum fosse stato promosso in Italia. Mi consolo, almeno, perché gli svizzeri hanno clamorosamente sbagliato la previsione del bilancio pubblico 2011: stimavano un deficit di 600 milioni e invece hanno chiuso con un surplus di 1,9 miliardi di franchi. Veramente un Paese da mettere sulla lista nera.


Stefano Marchese
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Genova

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