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LETTERE

Collegio sindacale, sanzionare chi non lo adotta per tutelare gli onesti

Mercoledì, 14 marzo 2012

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Egregio Direttore,
sembra quasi che l’estensore dell’art. 2426 del codice civile, comma 1, numeri 5 e 6, già preconizzasse le paradossali ed intermittenti vicende legate al Collegio sindacale. In particolar modo, se all’inciso “ove esistenti” mettessimo un bel punto interrogativo, si comprenderebbe appieno quanto lungimirante quella mano sia stata nello scrivere la norma in parola.
Ma se mettessimo a stendere l’amaro sorriso sul balcone, ci accorgeremmo che è forse il caso di soffermarsi a fare qualche riflessione supplementare proprio su quell’inciso.

Subordinare l’iscrizione nell’attivo patrimoniale di determinate tipologie di costi e dell’avviamento al consenso del Collegio sindacale, ove esistente, ha evidentemente un’importante e non trascurabile funzione di garanzia in ordine alla veridicità del bilancio e alla correttezza del contegno contabile assunto dagli amministratori. Ovviamente la norma è stata pensata , giustamente, al fine di evitare la tentazione di non far transitare dal conto economico dei costi privi di utilità pluriennale, parcheggiandoli invece nell’attivo dello stato patrimoniale, magari al fine di non deprimere eccessivamente l’utile civilistico della società.

Viene però da chiedersi quale conseguenza possa o debba subire una società che, ad esempio, oltre ad aver omesso l’istituzione del Collegio sindacale, ha alterato la rappresentazione del proprio utile civilistico, in contrapposizione, invece, a quelle società (la maggior parte, s’intende) che diligentemente si sono dotate del Collegio e che, per esempio, si sono viste applicare correttamente il filtro dell’art. 2426 del codice civile alla capitalizzazione di specifici costi. Questo interrogativo matura in assenza di una specifica e diretta sanzione legata alla mancata adozione del Collegio sindacale al ricorrere dei requisiti di legge, ovvero quelli di ieri e quelli di domani e, nel vuoto normativo, di una qualsiasi forma di monitoraggio da parte di chicchessia in ordine alle società che dovrebbero rispettare tale obbligo.

Non è forse questa un’alterazione di quello che dovrebbe essere un libero mercato? Ma un mercato dove la competizione è falsata e dove un obbligo di legge è rispettato da alcuni, sostenendone i relativi costi, e ignorato da altri, pochi che siano, abbiamo davvero ancora il coraggio di definirlo “libero”? Non sarebbe più giusto intervenire a monte su questi aspetti sostanziali, piuttosto che sistemare a valle e alla peggio “panni caldi” di presunte liberalizzazioni?

Osservazioni queste che prescindono dall’eventuale e simultanea alterazione tributaria delle medesime, posto che, in caso di accertamento, sarebbero oggetto di specifici rilievi e sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate o dai militari della Guardia di Finanza.
Come dire che vi è uno sdoppiamento di personalità nel legislatore: il legislatore tributario vigila e sanziona, mentre il legislatore civilistico preferisce ignorare secondo il mantra del laissez-faire. In tal senso appare del tutto trascurabile, attesi gli effetti conseguiti, l’indiretta sanzione ventilata da larga parte della dottrina e da certa giurisprudenza (Cass. n. 11554/2008, applicabile estensivamente alla fattispecie di mancata costituzione ab origine dell’organo collegiale) riguardante l’annullabilità degli atti compiuti in difetto di costituzione dell’organo, o ancora, quella che declina tale mancanza come una causa di scioglimento della società.
È davvero incomprensibile come non si sia mai pensato di introdurre una sanzione specifica e tipizzata, magari anche mettendola in correlazione con l’ambito tributario – penso ad esempio ad un’ipotetica penalizzazione nel riporto delle perdite rivenienti dalla rideterminazione del reddito in funzione di costi illegittimamente capitalizzati – ed è ancora più incomprensibile che tale spinta non venga dalle organizzazioni sindacali imprenditoriali, proprio a tutela della maggior parte delle società rispettose delle regole.

Ammetto e riconosco l’egoismo di questo mio spirito di difesa e tutela delle imprese che dimostrano comportamenti corretti, ma si comprenderà, spero, che quando l’obiettivo della perfetta sovrapposizione tra servizi professionali e servizi imprenditoriali sarà raggiunto, questo mio esercizio mi sarà utile per rivendermi come sindacalista delle imprese, poichè mi sembra che ne abbiano davvero bisogno, viste le troppe distrazioni cui oggi sono soggette le loro rappresentanze istituzionali.


Marco Cramarossa
Presidente UGDCEC di Bari e Trani

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