Non dobbiamo chiuderci in un recinto ma disegnare il futuro della professione
Caro Direttore,
dal mio punto di vista, la professione è sempre più povera. Non mi riferisco alle ricerche periodicamente svolte dalla nostra Fondazione sui redditi e i volumi di affari dei commercialisti forniti dalle Casse di previdenza. Penso, piuttosto, ad una visione di lungo periodo.
Sotto la presidenza di Claudio Siciliotti, un tema trattato da chi era con o contro di lui, era quello sulla reale efficacia del “volare alto”. Sembra una vita fa, ma ai nostri Congressi non era difficile ascoltare un premio Nobel per l’Economia piuttosto che fare un’analisi sulla recente storia d’Italia, con toccanti testimonianze di chi aveva vissuto, anche tragicamente, fatti che pure contraddistinguevano l’economia di quegli anni.
Ed ancora prima, l’Unione nazionale giovani dottori commercialisti convocò gli “Stati generali della Professione” con l’intento, forse ingenuo, di provare ad immaginare come sarebbe stato il mondo negli anni successivi e quali scenari si sarebbero potuti aprire davanti ai colleghi.
Idee messe in circolo, insomma, che se nell’immediatezza appaiono lontane dalle problematiche spicciole da affrontare ogni giorno, d’altro canto probabilmente hanno fornito linfa vitale, in termini di motivazione, a chi poi è stato chiamato a rappresentare la Categoria ed a segnare le linee strategiche per il futuro.
Siamo reduci da un lungo periodo elettorale che ha attraversato prima le Casse di Previdenza, poi i Consigli locali e da ultimo quello nazionale. A spanne, mi sembra che si sia privilegiato l’aspetto “operativo”: acquisire il consenso sulla base di linee programmatiche, garantendo un coinvolgimento nelle attività a chi ha ben supportato il lavoro di squadra.
È giusto che sia così: ma auspico che Massimo Miani in primis, e poi tutti i Consigli locali, vogliano riservarsi nella loro operatività quotidiana uno spazio per quello che noi giovani dell’epoca definivamo “uno sguardo attento e curioso verso il futuro”.
Vede Direttore, registro con favore come i sindacati stiano evidenziando unitariamente tutti i disagi che stanno rendendo la nostra attività professionale sempre più gravosa e la proclamazione dello sciopero può rappresentare un primo importante traguardo. Dobbiamo però stare attenti a non costruirci, da soli, il recinto nel quale restare chiusi, magari a litigare tra di noi!
È giusto, ad esempio, evidenziare le mostruosità che spesso il legislatore impone in assenza di un preventivo contraddittorio con chi opera sul campo. Ma non dobbiamo poi restare imbrigliati esclusivamente in faccende che possono distrarci da indirizzi strategici che potrebbero determinare il nostro futuro. Come abbiamo la capacità di seguire i nostri clienti che inventano nuovi prodotti o esplorano mercati sconosciuti, dobbiamo essere pronti a governare le prossime sfide.
Per farlo, occorrono non solo capacità politiche (e abbiamo visto che ve ne sono!); ma anche programmazione, competenze e controllo dei risultati, senza lasciare spazio all’improvvisazione.
In una logica di unità, che derivi dalla chiara condivisione degli obiettivi, e non di frammentazione, che si traduce poi in una (povera) lotta di potere che distrae dall’obbligo di una visione di lungo periodo.
Per essere più chiari: chi oggi è chiamato a governare (su base nazionale come su base locale), lo faccia con una visione strategica e con modi inclusivi; chi è chiamato a collaborare, pensi al raggiungimento del risultato e non a prefigurare mosse che portino ad equilibri diversi, distraendosi dal più importante compito di disegnare il futuro della nostra professione.
Marco Piemonte
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Salerno
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