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LETTERE

Sciopero, cronaca di un disastro annunciato

Venerdì, 24 febbraio 2017

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Gentile Redazione,
l’epilogo della vicenda del primo sciopero della nostra categoria è stato tutt’altro che sorprendente e non ha fatto altro che indebolire ulteriormente la nostra immagine e il nostro peso specifico dal punto di vista politico, semmai in precedenza ne avessimo avuto alcuno.

Le ragioni di ciò, a mio modesto avviso, sono molte. La prima risiede in un problema legato alla natura della nostra professione, che, lo ricordiamo, è di lavoro autonomo, che mal si presta all’utilizzo dello strumento dell’agitazione che culmini nell’astensione dal lavoro. Lo sciopero, non c’è bisogno che lo ricordi io, nasce dalla contrapposizione degli interessi del capitale e del lavoro, legati da un rapporto di subordinazione. Nel danneggiare direttamente il datore di lavoro con l’astensione (ma indirettamente anche se stessi) i lavoratori scioperanti sperano di ottenere riconoscimenti di diritti prima negati.
Nel nostro caso, al contrario, noi scioperando avremmo danneggiato per primi i nostri clienti, per i quali non avremmo effettuato adempimenti tributari obbligatori per cui abbiamo ricevuto un mandato professionale, per condizionare un diverso soggetto, il legislatore o comunque il potere esecutivo, sperando che riconoscesse le nostre ragioni. Tale dicotomia ha reso chiaro, fin dall’inizio, che la proclamazione dello sciopero conteneva in sé un grande rischio, e cioè che i nostri clienti non avrebbero fino in fondo capito e giustificato la nostra azione. Tale rischio ha difatti portato poi a una frettolosa marcia indietro nonostante, lo sottolineo, non si sia ottenuto in cambio praticamente nulla.

La seconda ragione è legata a un problema di rappresentanza. La nostra professione intellettuale, che dovrebbe per sua natura semmai fare efficace attività di lobbying e non di sindacato (come fa Confindustria, tanto per capirci), ha non di meno di otto sigle sindacali (dagli acronimi fantasiosi e impronunciabili: “UNAGRACO”... ma c’è pure il modello “UNICO”...!) che necessitano, ovviamente, di un’ulteriore struttura di coordinamento per presentarsi con un minimo di unitarietà ai tavoli di confronto politico.
Chiunque, nel raccontare quanto sopra, ti chiede: ma perché così tante? Individualismi e personalismi tutti italici fanno sì che esistano strutture che, di fatto, rappresentano lo zero virgola del totale degli iscritti ai nostri Ordini, che procedono quasi sempre in ordine sparso, e che pertanto si presentano alle battaglie che contano, come questa, senza alcuna consistenza e credibilità.

Veniamo appunto alla credibilità, che a mio avviso è il tema centrale e che fa sì che le rivendicazioni, se giuste, possano essere accolte. Secondo me la credibilità si acquista difendendo non noi ma il contribuente-cittadino ed evitando di fare battaglie corporative: in una parola, dicendo la verità.
Per troppo tempo, invece, le sigle sindacali hanno difeso interessi e rendite di posizione rifiutandosi di vedere e di leggere il mondo che cambia. Basti pensare alle lunghe battaglie a protezione dei collegi sindacali, e contro una riforma tutto sommato giusta come quella del sindaco unico, o a quelle per gli aggiornamenti delle tariffe professionali, senza accorgersi che stavano per essere spazzate via, travolte dalla pressione internazionale verso l’apertura dei mercati e la concorrenza. Non ricordo chi ha scritto: il futuro, prima o poi, arriva!

Se fossimo in un Paese anglosassone, avremmo un Consiglio nazionale che si fa carico dei problemi veri della nostra professione, che parla in modo unitario per tutti i commercialisti italiani, con l’unico obiettivo di valorizzare le nostre competenze e preparazione, che sono elevatissime se confrontate con quelle dei colleghi di altri Paesi europei, e che affianca il legislatore nella ricerca di più efficaci strategie e strumenti per la lotta all’evasione tributaria.
In questo modo, forse, otterremmo più considerazione, che si tradurrebbe in più riserve di legge per attività che sono la parte qualificante e bella della nostra professione e che sappiamo effettuare meglio di chiunque altro, evitando di lasciarle ad altri soggetti meno titolati (si parla sempre dei “tributaristi”, ma pensiamo alle operazioni di finanza straordinaria di azienda nel segmento piccole medie imprese, che stanno diventando appannaggio dei reparti dedicati alla consulenza delle grandi banche internazionali).

Vieppiù, in tal modo riusciremmo ad aiutare il sistema Paese orientando meglio l’attività di accertamento verso le vere sacche di evasione e saremmo quindi in grado di far capire, finalmente e una volta per tutte, al nostro legislatore tributario che non è moltiplicando i controlli e gli invii telematici di dati a carico dei soggetti già precisi e adempienti che si otterranno i grandi recuperi attesi. Chi evade l’IVA, non vorrà far emergere la propria evasione compilando correttamente lo spesometro e le comunicazoni trimestrali delle liquidazioni periodiche!
Ma questo lo si ottiene dopo aver acquisito la necessaria credibilità, non prima!


Federico Broglia
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano

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