I crediti retributivi maturati dopo il licenziamento devono essere ammessi al passivo
In caso di fallimento dell’impresa datrice di lavoro, sino a quando il curatore non effettua la scelta tra subentrare nel rapporto di lavoro pendente ovvero sciogliersi da esso, detto rapporto, in assenza di prestazione, pur essendo formalmente in essere, rimane sospeso e, difettando l’esecuzione della prestazione lavorativa, viene meno l’obbligo di corrispondere al lavoratore la retribuzione.
Una volta attuata la scelta dal curatore, realizzata mediante il licenziamento del lavoratore, la curatela resta esposta alle conseguenze patrimoniali derivanti dall’illegittimo esercizio del recesso, nei limiti in cui le stesse siano compatibili con lo stato di fatto determinato dal fallimento.
Lo ha ribadito la Suprema Corte con la sentenza n. 7308, pubblicata ieri, così cassando la pronuncia della Corte d’Appello nella parte in cui aveva negato alla lavoratrice l’ammissione al passivo del fallimento dei crediti retributivi maturati successivamente al licenziamento. Secondo i principi sopra esposti, la Corte territoriale aveva invece correttamente ritenuto di non ammettere al passivo i crediti rivendicati dalla stessa lavoratrice con riferimento al tempo successivo alla dichiarazione di fallimento.
Si ricorda che il fallimento del datore di lavoro non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto (art. 2119, comma 2, c.c.). In seguito a dichiarazione di fallimento, il rapporto di lavoro rimane sospeso nella sua esecuzione – a meno che non sia disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa – in attesa della decisione del curatore sulla prosecuzione o sul definitivo scioglimento ai sensi dell’art. 72 L. fall.
Ne consegue che il periodo che va dalla dichiarazione di fallimento sino alla scelta del curatore e quello successivo alla scelta, attuata con il licenziamento, sono accumunati dalla mancanza di prestazione lavorativa da parte del lavoratore.
Tuttavia, secondo i principi ieri ribaditi, con riferimento al primo periodo non sussiste l’obbligo di corrispondere al lavoratore la retribuzione e i contributi; nel caso, invece, il curatore scelga di sciogliersi dal rapporto di lavoro e non rispetti le norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi, la curatela è esposta alle conseguenze risarcitorie previste dall’ordinamento a tutela della posizione del lavoratore.
Secondo quanto confermato dalla Suprema Corte, la diversità di regime nei due periodi è in particolare giustificata dal fatto che solo nel caso di licenziamento illegittimo è imputabile al curatore la mancata prestazione lavorativa (in ragione dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del recesso). Con riferimento al periodo precedente il recesso, in cui il rapporto è sospeso, non è invece a lui imputabile alcun inadempimento, esercitando il curatore una facoltà espressamente prevista dalla legge.
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