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OPINIONI

L’obbligo di notifica per i meccanismi transfrontalieri può portare benefici

L’attuazione della direttiva 2018/822/Ue può imporre lo stesso obbligo ai vari soggetti, più o meno improvvisati, che intervengono nella consulenza

/ Andrea FERRARI

Giovedì, 30 gennaio 2020

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Pubblichiamo l’intervento di Andrea Ferrari, Presidente dell’AIDC.

È assolutamente fuorviante il messaggio che sta trapelando in merito alla prossima adozione di misure volte ad attribuire ai commercialisti un obbligo di delazione verso l’Amministrazione finanziaria in danno ai propri clienti.
Questa infatti pare la sintesi di molti commenti all’imminente adozione della direttiva 2018/822/Ue dell’Unione europea in materia di “scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica”.

AIDC ha più volte, anche di recente, denunciato un crescente clima poliziesco in ambito tributario, denunciando la minaccia alla libertà individuale e collettiva, sacrificata su un presunto altare di solidarietà nazionale, che è sempre invocato quando si percuotono i contribuenti, ma mai quando lo Stato spreca non governando la spesa.
Ma questo non è il caso.

La direttiva, di cui il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri, in esame preliminare, l’apposito DLgs. attuativo, incardinandosi e integrando la precedente direttiva 2011/16/Ue, sancisce l’obbligo di notifica a carico degli intermediari – espressamente definiti come qualunque persona che elabori, commercializzi, organizzi o metta a disposizione a fini di attuazione o gestisca l’attuazione di un meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica – qualora si ponga in essere un “meccanismo transfrontaliero”: un meccanismo, cioè, che interessa più Stati membri o uno Stato membro e un Paese terzo, laddove siano soddisfatte talune condizioni.

L’impianto delle direttive indicate rientra in un preciso ed esplicito disegno europeo, volto alla omogeneizzazione della materia tributaria sostanziale (richiedendo che le basi imponibili vengano determinate in maniera eguale nei diversi Stati dell’Unione e che l’interpretazione delle norme tributarie sia omogenea in detti Stati) e alla demolizione, o almeno al tentativo di demolizione, dei fenomeni di concorrenza fiscale tra Paesi membri.

Entrambi gli obiettivi corrispondono a due istanze da tempo avanzate, in primo luogo, dai professionisti italiani: chiarezza e omogeneità della norma e cessazione della concorrenza fiscale.
Lo scambio di informazioni, dunque, si inserisce in questo contesto, obbligando al monitoraggio delle operazioni transfrontaliere, quale misura dell’efficacia della concorrenza fiscale transnazionale.

Ricordando solo per un momento che, a mente del Codice deontologico dei dottori commercialisti, è espressamente vietato accettare incarichi che possano comportare violazioni di leggi, e perciò sgomberando il campo dall’ipotesi di poter assistere chi svolga operazioni illegali, non si può che ritenere che l’obbligo di comunicazione riguardi le sole operazioni lecite, rispondenti ai particolari requisiti richiesti dalla disposizione.
Il dettato normativo, quindi, introdurrebbe solo un altro, seccante, adempimento.

La novità, a nostro favore, è insita però nell’ampia platea contemplata dalla norma: quel “qualunque persona che elabori, commercializzi, organizzi o metta a disposizione a fini di attuazione o gestisca l’attuazione di un meccanismo transfrontaliero”.
E qui che si deve allora cogliere il beneficio reale della disposizione, giacché l’integrale e letterale applicazione della direttiva, finalmente, porrebbe sul medesimo piano obbligatorio, e sanzionatorio, i vari soggetti, più o meno improvvisati, che intervengono nella consulenza: i corsari della fiscalità creativa, gli escapologi con sede a Londra, i promotori di paradisi fiscali, i tanti gatti e le tante volpi che abbondano nel nostro Paese.

Non si tratta solo di un ulteriore adempimento a carico della categoria

Dal momento che il rispetto delle norme e dell’integrità sono elementi ontologici dei dottori commercialisti, ben venga una norma che spazza (nelle intenzioni) quanti di questi elementi fanno spregio.
La direttiva, dunque, se ben applicata in Italia introduce severamente un ulteriore obbligo di comunicazione a carico della categoria ma, a ben guardare, impone il medesimo obbligo a carico di chi si pone come suggeritore o realizzatore di operazioni transfrontaliere, improvvisando una professionalità non supportata da un percorso formativo universitario, tirocinio obbligatorio, assicurazione, formazione continua, e, in sintesi, da tutti quegli obblighi che distinguono un professionista serio da un improvvisatore.

Di un tale provvedimento e di provvedimenti analoghi ci dobbiamo fare promotori, non avversari. A patto che quel “chiunque” venga ribadito e rafforzato.

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