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L’aspettativa non retribuita non può essere imposta per gestire la crisi

/ REDAZIONE

Venerdì, 7 agosto 2020

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Con l’approfondimento pubblicato ieri, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro esprime alcune perplessità circa la collocazione dei lavoratori in aspettativa non retribuita da parte del datore di lavoro nel caso in cui l’azienda abbia subito una contrazione o una sospensione dell’attività e non sia possibile (o non sia più possibile) ricorrere agli ammortizzatori sociali, con il fine di sospendere il rapporto e, quindi, il pagamento della retribuzione.

Viene, infatti, ricordato che l’istituto dell’aspettativa non retribuita costituisce una prerogativa del lavoratore espressamente prevista dalla legge o dal contratto collettivo applicato. Solo il lavoratore può, infatti, decidere di astenersi dallo svolgimento della prestazione lavorativa qualora specifiche norme legali o collettive contemplino tale diritto e, in ogni caso, nei limiti disposti da tali disposizioni, con diritto alla conservazione del posto di lavoro.

Per tale ragione, nel documento in commento si precisa che risulterebbe “fuorviante – rectius, erroneo – affermare che l’aspettativa o il permesso possano rappresentare soluzioni alla necessità di sospendere il sinallagma del rapporto di lavoro, per effetto della collocazione da parte del datore di lavoro”, in quanto non rientra nei poteri aziendali quello di collocare, in modo discrezionale e unilaterale, i lavoratori in aspettativa non retribuita.

Le possibili soluzioni alternative per gestire i rapporti di lavoro potrebbero quindi essere, secondo la Fondazione, fondamentalmente la c.d. moral suasion, e quindi ottenere il consenso da parte del lavoratore oppure la stipula di accordi sindacali.

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