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PROFESSIONI

Legittimo il nuovo Codice deontologico dei commercialisti

Il TAR del Lazio rigetta il ricorso presentato dall’ANC. Lecite le restrizioni in materia di pubblicità e diritto di critica

/ Savino GALLO

Sabato, 12 luglio 2025

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Il nuovo Codice deontologico dei commercialisti, approvato dal Consiglio nazionale di categoria nella seduta del 21 marzo 2024, è legittimo. A stabilirlo è la Quinta sezione bis del TAR del Lazio che, con la sentenza n. 13710/2025, pubblicata ieri, ha rigettato il ricorso presentato dall’Associazione nazionale commercialisti.

L’ente guidato da Marco Cuchel aveva adito il tribunale amministrativo adducendo 7 motivi di gravame, tra cui violazione della libera concorrenza, violazione del diritto di critica e delle linee guida in materia di consultazione pubblica. Il TAR li respinge tutti, con motivazioni ampie e dettagliate che entrano nel merito delle singole questioni.

Le prime doglianze riguardavano l’art. 44 del Codice deontologico e, in particolare, il comma 2, secondo cui è “vietato inviare, anche tramite terzi, comunicazioni telematiche e messaggi elettronici a potenziali clienti, offrendo le proprie prestazioni professionali senza che questi ne abbiano fatto richiesta”. Per l’ANC, tale divieto sarebbe contrario a quanto prescrive la direttiva Bolkestein in materia di libera comunicazione ai fini commerciali.

In realtà, scrive il TAR, quello prescritto dal Codice deontologico non è un divieto assoluto, ma relativo, ovvero “limitato a una specifica modalità di promozione commerciale, quella effettuata mediante comunicazioni telematiche e messaggi elettronici, sul presupposto del carattere più pernicioso e molesto di tale modalità, soprattutto se realizzata in forma massiva”. Secondo il Consiglio nazionale, “il decoro e la dignità della professione da un lato e, dall’altro, la protezione dei terzi e del loro diritto a non essere disturbati da messaggi telematici non richiesti, costituiscono motivi imperativi di interesse generale che giustificano, in modo proporzionato, la limitazione prevista dalla norma deontologica” e tale impostazione è condivisa dal tribunale amministrativo. L’obiettivo è scongiurare pratiche commerciali aggressive che, se messe in atto da un iscritto all’albo, presentano un “maggior disvalore”.

Lo stesso ragionamento è applicabile ai successivi commi 3 e 4 del medesimo art. 44, che stabiliscono il divieto di utilizzare informazioni “enfatizzanti, superlative o suggestive” e di non includere i nomi dei clienti nel messaggio pubblicitario, ancorché in possesso della loro autorizzazione. Anche in questo caso, spiega il TAR, si tratta di un “divieto relativo” compatibile con la direttiva Bolkestein, giustificato da motivi di interesse generale finalizzati a garantire i valori di indipendenza, dignità e integrità della professione e che la scelta del cliente sia assunta in base a informazioni pubblicitarie reali ed effettive.

Il rispetto della dignità della professione è anche la ratio, accolta dal TAR, dell’art. 14 comma 2, secondo cui gli iscritti non devono usare espressioni sconvenienti e denigratorie né screditare o svilire le attività e le prestazioni professionali dei colleghi, incluse quelle di carattere istituzionale o espletate in organismi istituzionali di categoria. Secondo il tribunale non sussiste la paventata compressione del diritto di critica costituzionalmente garantito e non appare irragionevole l’inasprimento delle sanzioni (dalla censura alla sospensione), che costituisce il risultato di “un’ampia valutazione discrezionale riservata” al CNDCEC. Le sanzioni sono state aumentate anche con riferimento all’art. 39 comma 1, che prescrive di astenersi da qualsiasi commento che possa ledere l’onorabilità delle istituzioni nell’utilizzo dei social network e anche in questo caso il TAR legittima la scelta del Consiglio nazionale, in considerazione della diffusione che possono avere i messaggi inoltrati tramite social.

Quanto alla lamentata assenza di trasparenza nell’approvazione del documento, causata secondo l’ANC dalla mancata pubblicazione delle osservazioni inviate da Ordini e associazioni, il TAR spiega che il CNDCEC “ha comunque garantito ampia partecipazione procedimentale nella fase antecedente alla definitiva approvazione del codice deontologico, nonostante l’assenza di una disposizione normativa che imponesse al Consiglio nazionale particolari modalità procedimentali o garanzie partecipative”.

In proposito, continua la sentenza, “occorre rilevare che il CNDCEC ha scelto di sottoporre al più ampio ed aperto dibattito le proposte di aggiornamento del codice deontologico”. Inoltre, “è pacifico che siano stati coinvolti “anche gli Ordini territoriali, le cui osservazioni, “sebbene non vincolanti alla luce del quadro normativo innanzi descritte, sono state esaminate dal CNDCEC che, condividendone alcune, le ha fatte proprie nel testo finale”.
Anche questo motivo di ricorso, dunque, viene respinto dal Tribunale amministrativo, che rigetta in toto il ricorso dell’ANC e certifica la legittimità dell’operato del CNDCEC, sia per quanto riguarda il processo preliminare alla formazione del testo che per le disposizioni in esso contenute.

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