IVA restituibile se l’operazione è riclassificata non in un contesto di frode
L’Agenzia delle Entrate rettifica la risoluzione n. 50/2025 chiarendo così la portata dell’istituto
La restituzione dell’IVA ex art. 30-ter del DPR 633/72 non è ammessa qualora, “in un contesto di frode”, il rapporto contrattuale fra le parti venga riclassificato a seguito di accertamento. L’Agenzia delle Entrate ha meglio precisato il principio contenuto nella risoluzione n. 50/2025 sostituendo e ripubblicando il 7 ottobre il documento “per un refuso” contenuto nella versione originaria.
L’inserimento dell’inciso “in un contesto di frode”, assente nella prima stesura, assume notevole importanza, meglio definendo il perimetro della norma.
Come già rilevato su Eutekne.info (si veda “Niente restituzione dell’IVA se l’operazione è avvenuta in un contesto fraudolento” del 4 ottobre), infatti, la lettura del documento di prassi pubblicato venerdì scorso portava a ritenere che qualsiasi riqualificazione del rapporto contrattuale operata dall’Amministrazione finanziaria potesse implicare in via “automatica” l’esistenza di una frode fiscale e, conseguentemente, l’impossibilità di accedere alla restituzione dell’IVA ai sensi dell’art. 30-ter del DPR 633/72.
È bene ancora ricordare che la norma:
- al comma 1, consente al soggetto passivo la possibilità di presentare “la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”;
- al comma 2 dispone che qualora l’Amministrazione finanziaria accerti, in via definitiva, l’applicazione di un’IVA non dovuta a una cessione di beni o a una prestazione di servizi, “la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa”;
- al comma 3 esclude la restituzione dell’imposta laddove “il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale”.
Il caso preso in esame dall’Amministrazione finanziaria riguardava la riqualificazione di un contratto di appalto di servizi in contratto di somministrazione di lavoro, in ragione dell’invalidità del titolo giuridico da cui scaturivano le prestazioni.
La riclassificazione, a quanto si apprende dalla nuova versione della risoluzione, era, tuttavia, avvenuta “in un contesto di frode”, rendendo così impossibile il rimborso dell’IVA in base a quanto stabilito dall’art. 30-ter comma 3 del DPR 633/72.
La precisazione dell’Agenzia ristabilisce la ratio della norma, la cui finalità risiede nel garantire la neutralità dell’imposta nei casi in cui la domanda di rimborso sia presentata dal cedente o prestatore, che abbia restituito l’IVA indebitamente addebitata in fattura al cessionario o committente (tenuto a sua volta a versarla all’Erario nell’ipotesi in cui abbia esercitato la detrazione).
Dovrebbero pertanto essere fatte salve dall’applicazione del citato comma 3 le situazioni in cui l’errata applicazione dell’IVA consegue a una non corretta qualificazione del rapporto contrattuale, scevra da intenti fraudolenti.
Vale la pena di sottolineare come tali conclusioni possano trarsi anche dalla lettura della risposta a interpello 11 marzo 2024 n. 66, relativa al caso di una società che si era avvalsa dei servizi di “logistica integrata e facchinaggio” forniti da una cooperativa, successivamente riqualificati dall’Amministrazione, in mere somministrazioni di lavoro.
Nella circostanza, l’Agenzia delle Entrate negava il rimborso dell’imposta al committente, in quanto soggetto non titolato a richiederne la restituzione, precisando che la domanda, ai sensi dell’art. 30-ter comma 2 del DPR 633/72 poteva essere presentata solo dal prestatore dei servizi, soggetto obbligato al pagamento dell’IVA all’Erario.
Non costituiva, invece, causa ostativa la riqualificazione del rapporto contrattuale, né a quest’ultima veniva implicitamente associato un contesto di frode.
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