Niente restituzione dell’IVA se l’operazione è avvenuta in un contesto fraudolento
La riqualificazione del rapporto fra le parti esclude l’applicazione dell’art. 30-ter del DPR 633/72
Non può essere dato luogo alla restituzione dell’IVA ex art. 30-ter del DPR 633/72 qualora, a seguito di accertamento, il rapporto contrattuale fra le parti venga riclassificato in ragione dell’invalidità del titolo giuridico da cui scaturiscono le prestazioni; è il caso, ad esempio, in cui un contratto di appalto di servizi sia stato riqualificato in contratto di somministrazione di lavoro. L’art. 30-ter comma 3 non ammette, infatti, il rimborso dell’imposta laddove l’operazione sia stata posta in essere in un contesto fraudolento.
È questo il principio che emerge dalla lettura della risoluzione n. 50, pubblicata ieri dall’Agenzia delle Entrate.
Può essere utile rammentare che, in base all’art. 30-ter comma 1 del Decreto IVA il soggetto passivo ha la possibilità di presentare “la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.
Il secondo e il terzo comma della norma stabiliscono rispettivamente che:
- nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria accerti, in via definitiva, l’applicazione di un’IVA non dovuta a una cessione di beni o a una prestazione di servizi, “la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa”;
- la restituzione dell’imposta è, però, esclusa laddove “il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale”.
Si tratta, come già rilevato in passato dall’Agenzia (cfr., tra le altre, la risposta a interpello 11 marzo 2024 n. 66), di una disposizione che, nel rispetto della neutralità dell’IVA, garantisce al cedente o al prestatore di vedersi rimborsata l’imposta inizialmente versata all’Erario.
È tuttavia necessario, per espressa previsione del comma 2 citato, che il suddetto cedente/prestatore abbia preliminarmente restituito l’imposta indebita al cessionario/committente (che, a sua volta, la deve versare all’Erario se aveva beneficiato della detrazione).
Nel caso di specie, alle parti era stato contestato il fatto che le prestazioni poste in essere non fossero riconducibili a un appalto di servizi, imponibile ai fini IVA, quanto piuttosto a una somministrazione di lavoro. Si tratta di un contratto che prevede:
- da un lato, un’attività d’impresa, rilevante ai fini IVA, esercitata dall’agenzia che mette a disposizione dei propri committenti uno o più lavoratori;
- dall’altro, il riaddebito degli oneri retributivi e previdenziali che la stessa agenzia fornitrice è tenuta a corrispondere al lavoratore, somma esclusa dalla base imponibile ai fini IVA ai sensi dell’art. 26-bis della L. 196/97.
La riqualificazione operata dall’Amministrazione finanziaria comporta, quindi, nei casi descritti, l’accertamento di un’IVA indebitamente addebitata in fattura che non può essere portata in detrazione dal committente. Tuttavia, come già sottolineato, in presenza di un contesto fraudolento, non può operare la possibile richiesta di restituzione da parte dell’Erario.
In questo senso, pare evincersi dal documento di prassi che qualsiasi riqualificazione del rapporto contrattuale operata dall’Amministrazione finanziaria possa implicare sic et simpliciter l’esistenza di una frode fiscale.
Un caso simile a quello esaminato nella risoluzione n. 50/2025 era già stato portato all’attenzione dell’Agenzia in passato. Nella risposta a interpello n. 66/2024, una società si era avvalsa dei servizi di “logistica integrata e facchinaggio” forniti da una cooperativa.
Nel corso di una verifica, l’Amministrazione riconosceva l’effettività del rapporto, l’esistenza dei servizi resi e persino l’inerenza degli stessi, considerando tuttavia che anche in questo caso si fosse in presenza di un contratto di somministrazione di lavoro.
La committente “incisa e sanzionata” domandava se le fosse consentito accedere al rimborso ex art. 30-ter, in considerazione del fatto che l’imposta non le sarebbe mai stata restituita dal prestatore, assoggettato, nel frattempo, a procedura concorsuale.
L’Agenzia delle Entrate aveva negato tale possibilità. In circostanze simili, l’IVA versata dalla società è stata indebitamente corrisposta al prestatore “in base al rapporto civilistico di rivalsa” e non può quindi “essere oggetto di richiesta di rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria in base al rapporto di imposta che lega emittente ed Erario”, dal momento che il soggetto tenuto al pagamento dell’imposta non coincide con quello “obbligato in rivalsa” (Cass. 26 maggio 2023 n. 14838 e 26 agosto 2015 n. 17173, citate nella risposta a interpello Agenzia delle Entrate n. 66/2024).
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41