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IMPRESA

Bancarotta per distrazione e autoriciclaggio possono concorrere

L’ha confermato la Cassazione: occorrono, però, due distinte condotte

/ Maurizio MEOLI

Giovedì, 20 novembre 2025

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La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 37723, depositata ieri, torna sulla questione del concorso tra i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione (artt. 216 comma 1 n. 1 e 223 comma 1 del RD 267/42) e di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.).
Si osserva, in primo luogo, come la sola consumazione del primo non possa integrare, di per sé, anche il secondo. Questo dato, apparentemente scontato, diviene problematico nel momento in cui si considera che uno dei possibili momenti consumativi della fattispecie di autoriciclaggio è rappresentato dall’impiego della risorsa di provenienza illecita in attività imprenditoriali, perché tale impiego potrebbe ravvisarsi in ogni fatto di distrazione a favore di una società attiva che utilizzi fisiologicamente quanto viene a entrare nelle sue disponibilità.

Tuttavia, affinché sia integrata anche una condotta di autoriciclaggio la giurisprudenza di legittimità richiede che essa sia distinta dal momento distrattivo, occorrendo un’attività ulteriore rispetto alla sottrazione della risorsa all’impresa fallita in modo da evitare indebite sovrapposizioni applicative tra le due disposizioni. Si è così affermato che non integra il reato di autoriciclaggio il mero trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare a favore di imprese operative, occorrendo a tal fine, appunto, un quid pluris che denoti l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza illecita del bene (cfr. Cass. nn. 38919/2019 e 8851/2019). In particolare, occorre distinguere tra il caso della sola distrazione di somme di denaro dalla società fallita ad altre società, in cui – pena la violazione del principio di doppia incriminazione – non è ravvisabile l’autoriciclaggio, da quella in cui oggetto della contestazione di autoriciclaggio sia non la mera attività distrattiva di somme dalla società fallita, bensì anche l’attività successivamente poste in essere con il denaro distratto.

Si è, altresì, precisato che è configurabile la condotta dissimulatoria tipica dell’autoriciclaggio nel caso in cui, successivamente alla consumazione della bancarotta distrattiva, si dia vita a un “mutamento dell’intestazione soggettiva del bene”, in quanto la modifica della formale titolarità del profitto illecito è idonea a ostacolare la sua ricerca, l’individuazione dell’origine illecita e il successivo trasferimento (cfr. Cass. n. 13352/2023).

Sussiste, quindi, il concorso tra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e quello di autoriciclaggio quando:
- alla condotta distrattiva di somme di denaro faccia seguito un’autonoma attività dissimulatoria di reimpiego in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative di tali somme, in quanto in questa ipotesi si verifica sia la lesione della garanzia patrimoniale dei creditori, sia la lesione autonoma e successiva dell’ordine giuridico economico, mediante l’inquinamento delle attività legali;
- successivamente alla consumazione della bancarotta fraudolenta per distrazione, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative sia attuato attraverso il mutamento dell’intestazione soggettiva del bene, in quanto, come detto, la modifica della formale titolarità del profitto illecito è idonea a ostacolare la sua ricerca, l’individuazione dell’origine illecita e il successivo trasferimento (cfr. Cass. nn. 47/2025, 13352/2023 e 16059/2020).

Entro tale perimetro, allora, non ricorrono ragioni ostative al concorso, ma ciò solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi anche dell’autoriciclaggio.
Occorre, quindi, che, dopo la distrazione, l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, dei beni o delle altre utilità distratti e che questa comporti non un assoluto impedimento alla identificazione della provenienza illecita di essi, ma anche solo un ostacolo agli accertamenti sulla loro provenienza.

Si precisa, infine, che anche ove si aderisse alla tesi – non univoca – secondo cui la dichiarazione di fallimento si pone come mera condizione di punibilità, la sua assenza sarebbe irrilevante. L’intervento della condizione di punibilità solo successivamente alla condotta di autoriciclaggio, infatti, non incide sulla configurazione come reato della condotta antecedente che è già completa in tutte le sue componenti oggettive e soggettive. Diversamente ragionando, si verrebbe a creare l’irragionevole situazione per la quale solo ove la condotta di autoriciclaggio intervenga dopo la dichiarazione di fallimento essa assumerebbe rilievo penale, laddove, invece, l’ultimo comma dell’art. 648-ter.1 c.p. rimanda all’ultimo comma dell’art. 648 c.p., ai sensi del quale le relative disposizioni “si applicano anche quando ... manchi una condizione di procedibilità ...”.

A ogni modo, in assenza della dichiarazione di fallimento non vi sarebbe bancarotta per distrazione, ma sarebbe comunque ravvisabile il reato di appropriazione indebita, che rappresenta il segmento di un fenomeno di consunzione ed elemento costitutivo di un reato complesso in senso lato (art. 84 c.p.), a sua volta delitto presupposto di quello di autoriciclaggio.

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