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Per commissioni e royalties, valore in dogana da rideterminare in base al contratto

Un approccio sostanzialistico è stato adottato dalla Cassazione per le attività di mediazione

/ Pier Paolo GHETTI e Ettore SBANDI

Lunedì, 22 dicembre 2025

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Con la sentenza n. 32572 del 13 dicembre 2025, la Cassazione torna sul sistema di valorizzazione delle merci in dogana con una decisione particolarmente ampia e innovativa, che affronta la questione delle commissioni e delle spese di mediazione, delle royalties e degli effetti sanzionatori connessi alla loro omessa inclusione nella base imponibile.

In particolare, se per le royalties si registra (e conferma) una posizione piuttosto restrittiva che, seppure molto legata agli aspetti contrattuali, ribadisce la rilevanza di taluni corrispettivi ai fini daziari, è sulle attività di brokeraggio e sulle sanzioni che si registrano le maggiori novità.

Nel caso sottoposto al vaglio dei giudici di legittimità, era in discussione un accertamento che contestava il mancato inserimento, nel valore indicato nelle dichiarazioni doganali, di una serie di elementi potenzialmente ascrivibili a quelli da addizionare al valore di transazione per determinare l’imponibile doganale, ossia i diritti di licenza, le commissioni dovute all’agente nonché dei costi per Technical Assistance Charges (c.d. TACs).

Per concentrare l’analisi sul punto di maggiore interesse, anche se su basi parzialmente diverse rispetto a quelle dedotte dalle ricorrenti, nel caso di specie la Corte di Cassazione valuta fondato il motivo di doglianza sulle predette commissioni, cassando la decisione sfavorevole del secondo grado e rinviando il fascicolo ad un nuovo vaglio di merito.

Si sottolinea che è interessante l’iter logico e giuridico seguito dai giudici i quali, anzitutto, respingono la tesi per cui, in assenza di una definizione Ue, la mediazione debba essere intesa quale quella di cui all’art. 1754 c.c. Sul punto, si osserva invece che la “mediazione” cui fa riferimento il Codice doganale va riguardata sotto un profilo sostanziale, concretandosi essa in un’attività economica piuttosto che in precisa tipologia negoziale ed è comprensiva di tutte quelle fattispecie volte a promuovere e favorire la conclusione di contratti, indipendentemente dal legame giuridico tra le parti dell’affare (è peraltro significativo che la regola Ue usi non la parola middleman, ma la più generica “brokerage”).

Ciò posto, a fronte della deduzione della contribuente, secondo cui le somme pagate al proprio agente erano “commissioni d’acquisto” e dunque escluse dal valore doganale, la sentenza impugnata ha rigettato l’appello sul mero rilievo che l’ampia attività di intervento contrattualmente demandata all’Agente rientrasse comunque nel concetto di intermediazione e non invece in quello, più specifico, di agenzia.

Così facendo, però, la Commissione tributaria regionale ha centrato la propria decisione su un punto non rilevante per l’individuazione della “commissione d’acquisto”, dal momento che a tal fine sarebbe stato invece necessario accertare se l’Agente avesse o meno concluso i contratti d’acquisto per conto della mandante, essendo questo il servizio che oggettivamente giustifica la corresponsione di una commissione d’acquisto e che il giudice del rinvio dovrà valutare.

Se i TACs, anch’essi di grande interesse, non sono stati valutati per inammissibilità dei motivi, sulle commissioni si conferma un approccio sostanzialistico, dove a prevalere non è la forma o il nomen iuris del contratto, ma il fatto che esso rappresenta, in un contesto giuridico dove il confine tra agency fee, selling e buying commission è estremamente sottile.

Quanto alle royalties, invece, la sentenza di merito – con il consueto approccio case by case – è confermata perché è stata seguita la linea della sentenza della Corte di Giustizia Ue, causa C-173/15 e il giudice di secondo grado ha dato atto di aver esaminato il contenuto dei contratti di licenza e di produzione, ritenendoli strettamente connessi e desumendo dalle principali clausole contrattuali svariati elementi indicatori del potere di orientamento e di condizionamento che esulava dal semplice controllo di qualità e consentiva di ritenere sussistente “la condizione di vendita” necessaria affinché le royalties potessero essere incluse nel valore dichiarato in dogana.

Rimane sullo sfondo il tema, peraltro centralissimo, dell’appartenenza di agente e importatore allo stesso gruppo multinazionale e delle modalità di quantificazione della commissione.

In ultimo, un cenno alle sanzioni, dove ormai le disposizioni dell’abrogato art. 303 del TULD si confermano sempre non conformi al principio di proporzionalità, chiudendo definitivamente ogni discussione sul precedente assetto della disciplina doganale nazionale, ora rinnovata con il DLgs. 141/2024 con, in taluni casi, persistenti dubbi di proporzionalità, seppure per diversi profili.

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