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LETTERE

La lista unica non è una patologia della democrazia

Martedì, 23 dicembre 2025

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Gentile Direttore,
la lettera del consigliere nazionale ANC, pubblicata su Eutekne.info (si veda “La mancanza di alternative elettorali indebolisce la rappresentanza”) che descrive la diffusione delle liste uniche negli Ordini territoriali come un vulnus democratico, impone una risposta ferma, perché veicola sui più una rappresentazione ideologica e fuorviante del sistema ordinistico, accostando allo stesso un concetto di clientelarità quasi tossico.

Occorre dirlo con chiarezza: la lista unica non è una patologia della democrazia, ma – molto spesso – il suo esito più maturo. In numerosi Ordini, che hanno deficit di partecipazione strutturale, essa nasce da un processo di confronto reale, talvolta anche duro, che conduce a una sintesi ampia tra colleghi che hanno dimostrato, nel tempo, capacità amministrativa, equilibrio istituzionale ma soprattutto senso di responsabilità.

Ridurre tutto questo a una presunta “desertificazione democratica” significa negare valore al consenso costruito e al lavoro svolto. La democrazia ordinistica non si esaurisce nel momento del voto: anzi al contrario essa si realizza prima, quando si costruisce una proposta credibile di governance dell’Ordine, quando si superano gli scetticismi con la concretezza e dopo, quando quella proposta viene attuata nell’interesse degli iscritti. Chi riduce la democrazia al mero dato numerico delle liste confonde il pluralismo con la frammentazione e facendolo lo strumentalizza.

Mi sia concesso allora di porre la seguente domanda, che nessuno sembra voler affrontare apertamente: è davvero più democratica una seconda lista priva di un progetto alternativo, presentata unicamente per ottenere i seggi di minoranza garantiti dal sistema elettorale? Oppure siamo di fronte a una logica oppositiva permanente, perpetrata e costante, che non mira a governare ma a presidiare posizioni, spesso senza assumersi alcuna responsabilità amministrativa ma anzi a trovare, di giorno in giorno, tematiche differenti pretestuose su cui svolgere opposizione fine a se stessa?

Se un limite strutturale esiste, esso non riguarda la lista unica, ma l’attuale disciplina elettorale prevista dal DLgs. 139/2005 e dai regolamenti attuativi, che consente la presentazione di liste senza un programma di mandato comparabile e senza una reale assunzione di responsabilità di governo. È lì che andrebbe indirizzata una riflessione seria, non verso chi ha saputo aggregare consenso. Per fortuna, presto il DLgs. 139/2005 andrà in pensione.

Ancora più grave e contro il decoro della professione è l’insinuazione di un presunto controllo dei processi elettorali da parte dei gruppi dirigenti. Mi si consenta di dire che tali affermazioni non solo sono infondate, ma rivelano una conoscenza approssimativa del sistema: la normativa impone obblighi stringenti di trasparenza e di divulgazione di ogni comunicazione con finalità elettorali, proprio per garantire pari condizioni a tutti.

Quando il consenso non si costruisce, attribuirne la responsabilità a presunti meccanismi di chiusura è una scorciatoia politica retorica per la ricerca del consenso, non un’analisi istituzionale.
Merita inoltre una puntualizzazione il passaggio relativo al bilancio previsionale del CNDCEC. È persino banale ricordare che l’approvazione formale del documento compete al Consiglio Nazionale. Tuttavia, presentare ogni riferimento alla condivisione con gli Ordini territoriali come una “rappresentazione fuorviante” dei processi decisionali significa voler confondere, per fuorviare i più, il piano giuridico con quello istituzionale.

Chi ha storia istituzionale sa bene che il bilancio previsionale viene illustrato, discusso e rappresentato in modo puntuale, e che la presa d’atto degli Ordini non è una forzatura, ma un atto di trasparenza politica nei confronti dei territori. Ridurre tale passaggio a una mera “finzione comunicativa” tradisce una tendenza ormai ricorrente: criticare senza essere presenti, affidandosi più a resoconti di parte, non volendo/potendo affidarsi alla partecipazione effettiva ai luoghi di confronto. Le parole contano, ma per giudicarle occorre prima ascoltarle nel loro contenuto, nel contesto in cui sono pronunciate e nella modalità in cui sono costruite: solo dopo è legittimo dissentire. Parlare per discorsi riportati, estrapolare frasi, anziché agire per esperienza diretta, non è esercizio di vigilanza democratica, ma una scorciatoia polemica, capziosa e dannosa.

Sostenere che la continuità venga sistematicamente associata a un deficit di accountability è un passaggio strumentale per l’interesse di pochi. In molti Ordini, essa è, più semplicemente, il riconoscimento di un lavoro svolto con competenza, sacrificio e – giova ricordarlo – in forma totalmente gratuita, per la maggior parte del tempo nel silenzio dei territori e lontano da ogni visibilità. Chi oggi invoca la democrazia dovrebbe spiegare dove sia stato, e cosa abbia costruito, quando c’era da lavorare davvero per la categoria.

La nostra professione non ha bisogno di slogan né di manifesti moralistici. Ha bisogno della stabilità di una rappresentanza che possa dare continuità all’azione di governo, ha bisogno di responsabilità e di capacità di sintesi. Tutto il resto è propaganda pre-elettorale che per fortuna tra poco si scioglierà come neve al sole in primavera.


Massimiliano Lencioni
Presidente ODCEC di Massa Carrara

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