Il socio che recede perde subito tutti i diritti
La revoca della delibera che legittima l’exit è una condizione risolutiva del recesso
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 15087/2025, ha stabilito che, in base all’art. 2437-bis comma 3 c.c., il recesso da spa costituisce un negozio giuridico unilaterale recettizio che produce i suoi effetti nel momento in cui viene portato a conoscenza della società ed è subordinato alla condizione risolutiva rappresentata, alternativamente, dall’intervento, nel termine di 90 giorni ivi previsto, della revoca della delibera che lo legittima o della delibera di scioglimento della società.
In ragione della deliberazione di revoca o di scioglimento il socio receduto riacquista (ex tunc) lo stato di socio, comprensivo della legittimazione a impugnare sia tale deliberazione che le altre che siano state adottate dopo il proprio recesso.
Alla base di tale pronuncia si pone un contrasto rilevato dall’ordinanza interlocutoria che, per questo, chiedeva la pubblica udienza.
Si ravvisava, infatti, la presenza di una prima ricostruzione (cfr., tra le altre, Cass. n. 5836/2013) secondo cui il recesso sarebbe un atto unilaterale recettizio rispetto al quale il socio, una volta comunicata la decisione alla società, perderebbe lo status socii, nonché i relativi diritti, anche se non ha ancora ottenuto la liquidazione della quota. Un precedente di segno contrario (Cass. n. 5548/2004), invece, ha dichiarato di condividere l’opinione di chi reputa perdurante la qualità di socio del receduto fino al momento in cui sia concluso il procedimento di liquidazione e rimborso della quota.
In primo luogo, osserva ora la decisione in commento, la tesi per cui il recesso ha effetto immediato è risalente e radicata nella giurisprudenza di legittimità (tra le più recenti, Cass. nn. 8233/2016 e 30725/2023) e il contrasto ipotizzato (rispetto a Cass. n. 5548/2004) perde di rilievo nel momento in cui si considera che, in tale decisione, ci si trovava di fronte ad affermazioni costituenti meri obiter dicta.
A ogni modo, la pubblica udienza resta giustificata dalla necessità di affrontare, per la prima volta in sede di legittimità, il corretto significato da attribuire all’art. 2437-bis comma 3 c.c., ai sensi del quale il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia se, entro 90 giorni, la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società.
Si sottolinea, quindi, come non sia compatibile con questo dato normativo la tesi che ricostruisce il recesso dalla società come una fattispecie complessa a formazione progressiva che si esaurisce con la liquidazione e il rimborso della quota.
Se il recesso è privo di efficacia ove intervenga una delle due delibere di cui si è detto, allora esso è da principio efficace. La sequenza degli atti che portano al rimborso della partecipazione rimane estranea alla fattispecie del recesso.
D’altra parte, l’art. 2437-ter comma 1 c.c. tiene distinta la liquidazione delle azioni dal recesso, stabilendo che il socio ha diritto alla liquidazione delle azioni per le quali esercita il recesso.
L’art. 2437-bis comma 2 c.c., inoltre, impone, per le azioni relativamente alle quali è stato esercitato il diritto di recesso, un divieto di cessione e un obbligo di deposito presso la sede sociale, determinando un vero e proprio spossessamento delle azioni stesse che restano nella formale titolarità del socio receduto, ma senza che possa esercitarne i diritti corporativi e patrimoniali e senza che possa disporne.
Rileva anche il fatto che il codice, nello stabilire i criteri attraverso cui pervenire al valore di liquidazione delle partecipazioni nelle società di capitali, non prenda in considerazione il momento in cui si attua la detta liquidazione, ma il momento della dichiarazione di recesso (cfr. l’art. 2473 comma 3 c.c.).
Dal punto di vista sistematico, poi, si osserva come la tesi per cui il recesso del socio integrerebbe una fattispecie a formazione progressiva che si conclude con il rimborso delle azioni non sia coerente, da un lato, con il principio generale per cui il recesso dal contratto, ex art. 1373 c.c., è atto unilaterale e ricettizio che, come tale, produce i suoi effetti quando perviene nella sfera del destinatario e, dall’altro, con il fatto che il legislatore ha espressamente individuato, quando ha voluto, le ipotesi eccezionali in cui al recesso è assegnata efficacia non immediata (si vedano gli artt. 24 comma 2 e 2532 comma 3 c.c.).
Se il recesso produce effetti dal momento della comunicazione alla società, la delibera di revoca o di scioglimento che intervenga nel termine consentito opera quale condizione risolutiva degli effetti che si sono prodotti. Il socio receduto perde, fin da subito, tutti i diritti (patrimoniali e corporativi) legati alla condizione di socio, ma li riacquista, con effetto retroattivo, in esito alla deliberazione di revoca (o di scioglimento).
Se tali condizioni non si verificano, dopo il recesso l’ex socio non può impugnare alcuna delibera della società; neanche quella che ha legittimato l’exit.
In caso di revoca della delibera che ha determinato il recesso, invece, il socio receduto rientra in una società che potrebbe essere mutata nei suoi assetti. Egli, allora, potrà impugnare le deliberazioni assembleari che reputi viziate assunte nel frattempo. In tale ipotesi il termine per l’impugnativa decorre dal momento in cui egli è stato reintegrato nella qualità di socio.
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