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FISCO

Raddoppio dei termini per l’inesistenza in reverse charge anche senza recupero dell’IVA

Vale l’astratta valenza penale della condotta

/ Fabio FRONTONI

Sabato, 27 settembre 2025

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In tema di IVA e regime del reverse charge la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22903 dell’8 agosto 2025, ha chiarito un aspetto importante riguardante i termini per la notifica delle sanzioni: anche quando l’Amministrazione finanziaria non procede al recupero dell’imposta indetraibile, resta comunque applicabile il raddoppio dei termini previsto per l’accertamento del tributo in presenza di fatti penalmente rilevanti.

La norma di cui all’art. 20 del DLgs. n. 472/1997 prevede che l’atto di contestazione debba essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione oppure, in alternativa, “nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi”. È proprio quest’ultima parte della disposizione a offrire la chiave interpretativa per giustificare l’applicazione del termine raddoppiato anche alle sanzioni, quando i presupposti di fatto – come l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti – avrebbero, in astratto, consentito pure l’accertamento dell’imposta.

Il punto è che il meccanismo del reverse charge comporta, in condizioni normali, una neutralizzazione dell’IVA: il cessionario integra la fattura, la registra sia tra gli acquisti sia tra le vendite e, così facendo, assolve e detrae l’imposta in un unico passaggio contabile.
Tuttavia, nel caso in cui emergano elementi che fanno ritenere l’operazione inesistente, la detrazione non è ammessa e l’IVA diventa accertabile.

Resta da capire, invece, cosa succede quando l’Amministrazione non procede al recupero dell’IVA e si limita a irrogare solo la sanzione.
Secondo l’orientamento espresso dalla Corte, questa scelta non preclude l’applicabilità del termine raddoppiato. Quello che rileva, infatti, non è la presenza di un concreto accertamento dell’imposta, ma la sua accertabilità in astratto. In altri termini, anche in assenza di un atto impositivo, l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti nel reverse charge è sufficiente a fondare l’applicazione del raddoppio dei termini per la notifica della sanzione, ove ricorrano i presupposti normativi, ovvero la denuncia penale per violazioni tributarie.

Il ragionamento trova fondamento nel fatto che il cessionario, nel reverse charge, è il soggetto passivo dell’IVA, e come tale risponde del corretto assolvimento dell’imposta. Se risulta che egli ha detratto l’IVA su operazioni inesistenti, anche se l’imposta non viene recuperata dall’Agenzia delle Entrate, ciò non elimina la rilevanza sostanziale del tributo ai fini della contestazione sanzionatoria. Di conseguenza, la Corte ritiene pienamente giustificata l’estensione del termine, come accadrebbe in presenza di un accertamento vero e proprio.
In definitiva, il sistema non richiede che accertamento e sanzione siano materialmente connessi: è sufficiente che sussista la possibilità, anche solo teorica, di esercitare l’azione impositiva.

Tesi coerente con i principio unionali

Questo orientamento risponde ai principi unionali che tendono a dare alla sanzione una funzione di presidio del corretto funzionamento del sistema dell’imposta sul valore aggiunto (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 11 novembre 2021, causa C-281/20, Ferimet).

Ammettere che l’assenza di recupero del tributo impedisca l’utilizzo del termine raddoppiato per la sanzione significherebbe anche vanificare lo scopo del legislatore, che è quello di contrastare fenomeni di evasione complessi, come quelli derivanti da un uso distorto del reverse charge (cfr. Cass. nn. 23262/2024 e 534/2024).

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