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LETTERE

Il contributo integrativo deve sostenere le pensioni dei più giovani

Venerdì, 3 dicembre 2010

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Caro Direttore,
ringraziandoti per lo spazio che hai dedicato alle questioni della cassa di previdenza, ti scrivo su quella che credo sia la priorità delle priorità per il nostro sistema previdenziale, l’adeguatezza dei futuri trattamenti pensionistici. Infatti, chi ha iniziato la professione dal 2004 in poi, o che comunque a quella data ha maturato una breve anzianità contributiva, subisce gli effetti del cambio del regime previdenziale, con il drastico taglio del tasso di sostituzione, il rapporto tra pensione e reddito medio realizzato nel corso dell’intera vita contributiva.

Volendo quantificare, chi oggi versa il 10% come contributo soggettivo, e siamo la maggioranza, ottiene un tasso di sostituzione, rapporto tra pensione e reddito professionale, pari a circa il 25%. In altri termini, se si ha un reddito medio per l’intera vita professionale pari a 60.000 euro, si va in pensione con circa 15.000.

La questione purtroppo è grave e deve essere risolta, sul tavolo le proposte sono varie. C’è chi dice che i giovani devono versare di più: con il 17% di contributo soggettivo, si arriva infatti a tassi di sostituzione comunque modesti rispetto al passato, ma intorno al 42%. Mi permetto di osservare che, con l’aumento della concorrenza – spesso anche abusiva – e il forte calo dei redditi professionali, i giovani, e non solo, fanno fatica già a versare il 10%. Arrivare al 17% per molti è impensabile. In aggiunta, versare il 17%, potrebbe significare privarsi completamente di eventuali alternative in materia di investimenti previdenziali. La nostra Cassa è un istituto molto solido, ma come ogni fondo non può considerarsi immune da rischi: cosa succederebbe in un’ipotesi di fusione imposta, magari per legge, con i ragionieri? Oppure in presenza di un forte crollo del mercato mobiliare? Gran parte degli investimenti cassa sono lì.

Mi piacerebbe pensare che la soluzione possa essere diversa dal solito “pagate di più”. Al riguardo, provo a porre sul tavolo una proposta molto meno costosa, sulla quale sarebbe interessante iniziare a ragionare. Attualmente noi versiamo, addebitandolo in fattura (ammesso e non concesso che effettivamente si riesca a ribaltare il costo sul cliente), un contributo integrativo del 4%; nei bilanci tecnici della nostra Cassa, siamo in equilibrio considerando il 2%. In altre parole, alla Cassa, il sostenimento finanziario è garantito dal solo 2%.

Allora, mi chiedo, perché non utilizzare il restante 2% ad incremento delle posizioni contributive soggettive dei singoli iscritti penalizzati dal sistema contributivo, al fine di incrementare il tasso di sostituzione? Il 2% sul fatturato potrebbe valere un 3-4% sul reddito e portare il tasso di sostituzione a valori più dignitosi.

Attualmente il Ddl. Lo Presti prevede un meccanismo analogo a quello descritto, ma limitato all’1% del contributo integrativo e soprattutto ad esclusivo favore di coloro che versano il contributo soggettivo in misura superiore al 10%. Premiare solo coloro che versano più del 10% sembra voler aiutare chi ne ha meno bisogno, si introduce un discrimine sulle capacità di investimento/spesa individuali e, a mio parere, tutto ciò contrasta con quella che dovrebbe essere la finalità prevalente di un ente previdenziale. Si devono aiutare coloro che, penalizzati dalla riforma in senso contributivo del 2004, hanno visto un drastico taglio del tasso di sostituzione, a fronte di un forte incremento degli oneri per contributi (in passato si versava il 6% di soggettivo e il 2% di integrativo, e non il 10% e il 4% come oggi).

Al momento, la nostra Cassa di previdenza, in virtù di quanto disposto dal DL 78/2010, è chiamata a sostenere ulteriori sacrifici in termini di scelta di investimenti. Si pensi al social housing, costruzione e/o acquisto di case da destinare a soggetti economicamente meno abbienti, nel quale andremo ad investire diversi milioni di euro. Sempre il DL 78/2010 introduce vincoli per l’effettuazione di investimenti immobiliari: l’acquisto e la dismissione di immobili saranno sottoposti ad un meccanismo di monitoraggio ministeriale.

Di fronte a tali esigenze di intervento sociale, che il legislatore ci impone e alle quali siamo costretti ad aderire, credo sia indispensabile contrapporre con chiarezza la finalità del nostro istituto che, fino a prova contraria, rimane quella di garantire trattamenti pensionistici dignitosi ai propri iscritti.


Andrea Liparata
Delegato Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti

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