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EDITORIALE

Più fraintendimenti che contrapposizioni con l’Agenzia delle Entrate

/ Enrico ZANETTI

Giovedì, 27 gennaio 2011

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Mentre stiamo finendo letteralmente in tilt per la questione delle iscrizioni al VIES (si veda “Sistema VIES, l’Agenzia «legittima» la raccomandata” di oggi), che, ci viene spiegato, sono per molti, ma non per tutti, come il famoso aperitivo della pubblicità, proviamo a fare il punto sulle ragioni che hanno recentemente mandato per un attimo in tilt anche i rapporti tra Agenzia delle Entrate e rappresentanze istituzionali e sindacali dei commercialisti. Anche per stemperare una tensione che, tra parti importanti della comunità nazionale, quali sono un ente preposto alla tutela del gettito erariale e un Albo di oltre 115.000 liberi professionisti addentro un po’ ovunque nei gangli economici e sociali del Paese, deve rimanere incanalata nei binari della reciproca critica costruttiva e mai scadere nel gioco di sterili accuse incrociate senza riconoscimento del buono che c’è nell’altro.

Ecco allora che, nel fare questo punto, è opportuno partire chiedendoci: perché, nonostante a parole tutti si dicano fieri nemici dell’evasione fiscale, succede poi che, ogni volta che le maglie sembrerebbero stringersi, si levano alte voci che gridano al rischio di imbarbarimento del rapporto tra fisco e contribuente con conseguenti effetti controproducenti nel medio periodo? La prima possibile risposta è: perché questo Paese è pieno di ipocriti più ancora di quanto non lo sia di evasori. Esiste però anche una seconda possibile risposta: perché la lotta all’evasione fiscale è una cosa ed è buona e giusta, il mero recupero di gettito erariale è invece un’altra cosa e non sempre è buona e giusta. Naturalmente, sono vere entrambe le risposte: questo Paese vanta sicuramente un numero importante di evasori ipocriti, ma vanta anche un buon numero di professionisti che sono in grado di distinguere le politiche di lotta all’evasione fiscale da quelle di recupero del gettito erariale.

Il problema di fondo, da cui nascono gli equivoci, risiede nelle errate politiche di bilancio che, governo dopo governo, centrodestra come centrosinistra, si sono succedute in questi anni, con un sistematico utilizzo delle previsioni di gettito derivanti dalla lotta all’evasione fiscale a copertura di provvedimenti di spesa. In pratica, le risorse che si riescono a recuperare dalla lotta all’evasione fiscale sono già spese prima ancora di recuperarle. Questo non implica soltanto che il motto “pagare tutti per pagare meno” si riduce a una chimera, facendo così sentire il cittadino la controparte dell’azione dell’Amministrazione finanziaria, anziché l’azionista che dal suo operato ne stacca un dividendo. Implica anche che le somme recuperate dalla lotta all’evasione non sono un piacevole extra-gettito che più ce n’è meglio è: sono piuttosto risorse che devono entrare, costi quel che costi. In un simile contesto, è inevitabile che per l’Agenzia resti poco spazio per fare cultura di lotta all’evasione, essendo più che altro costretta a fare budget di recupero del gettito.

Ecco perché lotta all’evasione e recupero del gettito, pur intersecandosi, non sono perfettamente sovrapponibili. Nell’istante in cui si continuano a scaricare sull’Agenzia obiettivi di efficienza tarati sui livelli di recupero del gettito, anziché su numero e accuratezza dei controlli, per le Entrate passare 100 ore di verifica presso un contribuente onesto si trasforma da fatto che dovrebbe essere vissuto come piacevole in fatto che compromette il raggiungimento del budget. Le conseguenze sul rapporto tra Fisco e contribuente sono facilmente immaginabili: se è meglio imbattersi in evasori anziché in cittadini onesti, il rischio, umanissimo, è essere orientati a vedere comunque quel che converrebbe trovare. E le vittime non sono solo i contribuenti, ma anche la stessa Agenzia delle Entrate, i cui vertici e dipendenti sono sicuramente i primi che vorrebbero essere valutati per la qualità dei controlli, piuttosto che per la quantità dei recuperi. Da questo punto di vista, le critiche di chi ravvisa una mancanza di equilibrio, tra norme pro Fisco e tutele pro contribuente, nelle ultime tornate di novità fiscali, tale per cui la condivisibile volontà di fare efficienza nella lotta all’evasione rischia di cedere il passo all’incolpevole ferocia di chi, al di là di tanti bei discorsi, deve in qualche modo fare prima di tutto budget, sono da leggersi non tanto in contrapposizione agli enti preposti ad accertare e riscuotere per conto dell’Erario, quanto piuttosto in sinergia con le indicazioni più volte diramate agli uffici periferici.

Ciascuno per parte sua lancia gli inviti all’equilibrio che gli competono: i vertici dell’Agenzia ai loro funzionari nel procedere alle contestazioni; i commercialisti al legislatore di turno nel procedere con le innovazioni normative. A ben vedere, però, pur nella diversità dei ruoli, la sostanza degli inviti finisce per essere la stessa. Tra Agenzia delle Entrate e commercialisti è senza dubbio in piedi la questione dell’adeguata valorizzazione del ruolo degli intermediari fiscali, che di fronte alla moltiplicazione degli adempimenti non può essere ulteriormente differita, così come si può discutere su quello che di più e di meglio possono fare l’Agenzia da un lato e i commercialisti dall’altro, ma sulla necessità di un sistema fiscale più equilibrato per i contribuenti e meno stressante per verificatori e professionisti, mi sembra ci sia una sintonia assai maggiore di quella che le parti stesse percepiscono in questo momento.
Molte volte, il problema è essenzialmente quello di capirsi. E, naturalmente, essere conseguenti tra parole e opere.

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