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EDITORIALE

Priorità alla riforma della giustizia tributaria

/ Enrico ZANETTI

Martedì, 1 marzo 2011

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Il Ministero dell’Economia ha depositato presso i due rami del Parlamento la propria relazione annuale con il dettaglio dei “Risultati derivanti dalla lotta all’evasione fiscale”.
I dati sono quelli relativi al 2009, da non confondere con quelli relativi al 2010 presentati un paio di settimane fa dall’Agenzia delle Entrate, il cui dettaglio sarà oggetto di presentazione al Parlamento, da parte del Ministero, in occasione della prossima relazione annuale.

Dalla relazione emerge che i 9,1 miliardi di euro recuperati (ed effettivamente incassati) dallo Stato nel 2009 (ma nel 2010 già sappiamo che questo rimarchevole risultato è ulteriormente cresciuto a 10,5 miliardi di euro) sono frutto di circa 700.000 controlli; di cui, tra gli altri, circa 56.000 basati sugli studi di settore, 8.756 assistiti da indagini finanziarie e 6.753 relativi a crediti d’imposta indebitamente utilizzati.
I 9,1 miliardi di euro di incassi possono essere così suddivisi:
- dal punto di vista della tipologia di verifica che li ha generati, tra 5,7 miliardi derivanti da attività di accertamento e 3,4 miliardi derivanti dall’attività di liquidazione dell’imposta;
- dal punto di vista della modalità con cui sono stati riscossi, tra 5,6 miliardi di versamenti diretti (per effetto di adesioni o acquiescenze) e 3,5 miliardi di ruoli;
- dal punto di vista della loro natura, tra poco più di 5 miliardi di maggiori imposte e poco meno di 4 miliardi di interessi e sanzioni.

Sempre secondo quanto emerge dalla relazione, “l’attività di controllo svolta nel 2009 dall’Agenzia delle Entrate ha portato alla scoperta di un ammontare di base imponibile non dichiarata ai fini delle imposte dirette, dell’IVA e dell’IRAP pari a più di 132 miliardi di euro”.
A questi 132 miliardi di euro vanno poi aggiunte le ulteriori scoperte di base imponibile, per circa 50 miliardi di euro, ad opera della Guardia di Finanza.
Tutti dati molto interessanti e che stimolano quantomeno quattro considerazioni in croce.

La prima: la capacità operativa dell’Agenzia delle Entrate è in costante crescita e, nonostante sia ovviamente ben lungi dall’essere una macchina perfetta, è senza dubbio, tra le pubbliche amministrazioni italiane, quella più supportata dal Legislatore affinché possa fornire alla collettività il servizio che le compete.

La seconda: è oggettivamente triste che la Pubblica Amministrazione dello Stato di cui si può dire questo sia proprio quella che ha come compito quello di chiedere ai cittadini, anziché quello di dare.

La terza: chi afferma che l’evasione e il sommerso siano ancora più dilaganti oggi di quanto non lo fossero in passato non offende solo il lavoro sempre più serrato di chi lavora a tutela dell’Erario, ma anche il buon senso.
Per quanto ancora oggi l’evasione e il sommerso siano a livelli assai più elevati di quello che potrebbe essere sopportato come un dato fisiologico, è escluso che ci possa essere, in termini comparativi, più evasione e più sommerso di quanto ve ne fosse quindici o vent’anni fa.
Le statistiche e i boatos raccontano il contrario, ma c’è da chiedersi se, esaurito il pozzo di San Patrizio del debito pubblico, non vi sia quasi un inconscio desiderio di poter contare su un’economia sommersa “coperta di Linus”, grazie alla quale basta volerlo e i soldi per andare avanti senza tagli di spesa ci sono.

La quarta: se 132 miliardi di euro di maggiore base imponibile accertata significano, a spanne, come minimo 45 miliardi di euro di maggiori imposte, e se nel 2009 gli incassi riconducibili alle maggiori imposte sono stati pari a circa 5 miliardi, anche ipotizzando che, in chiave prospettica sull’accertato del 2009, questa somma si triplichi (l’ottimismo è il profumo della vita) si arriva solo a 15 miliardi e ne mancano 30.

Una parte non marginale sarà sicuramente dovuta a contribuenti insolventi perché falliscono o perché dissimulano i loro averi per sottrarsi alle procedure esecutive, ma una parte, altrettanto rilevante, sarà invece dovuta alla mancanza dei presupposti su cui si fondavano le contestazioni.
Questo elemento è davvero preoccupante.
Non tanto perché spiega che, se il 97% dei controlli ha dato esito positivo (nel senso che ha prodotto una richiesta di imposte e/o sanzioni al contribuente), non è probabilmente una “conferma della validità dei criteri di selezione adottati”, come scrive il Ministero nella sua relazione al Parlamento; ma piuttosto una conferma che c’è una certa propensione, una volta avviati i controlli, nel far saltare sempre e comunque fuori qualcosa e poi si vedrà, in adesione o in contenzioso.
No, l’elemento di oggettiva preoccupazione è semmai rappresentato dal fatto che, in un contesto di questo tipo certificato dai dati 2009, tra il 2010 e il 2011 sono entrate in vigore ed entreranno ulteriormente in vigore norme che rendono sempre più spedita la riscossione di ciò che viene accertato, nella più totale invarianza dei tempi della giustizia tributaria e delle scarsissime risorse a sua disposizione.

Mai come ora, il compito di chi conosce le pieghe del nostro sistema fiscale deve essere quello di gridare a gran voce che, sì, la riforma fiscale è importante, ma la prima riforma deve essere quella di fondare il rapporto tra Fisco e contribuente non sul solve et repete, ma su una giustizia tributaria efficiente e dotata di mezzi adeguati.

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