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EDITORIALE

Per non essere miopi non serve essere presbiti

/ Enrico ZANETTI

Mercoledì, 30 marzo 2011

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L’accordo siglato dal CNDCEC con il Ministro della Gioventù Giorgia Meloni (si veda “I commercialisti «in aiuto» dei giovani imprenditori italiani” di ieri), in forza del quale i commercialisti supporteranno i giovani imprenditori mediante la risposta a quesiti nei forum tematici su di un sito appositamente dedicato, si presta a chiavi di lettura molto diverse che sintetizzano in modo mirabile l’eterno dibattito tra l’importanza di apparire e l’importanza di essere.
Un dibattito che va ben oltre i confini della nostra categoria e investe l’impianto stesso del rapporto che lega, in ogni tipo di collettività, rappresentati e rappresentanti.

Prima possibile chiave di lettura dell’accordo: i vertici nazionali dei commercialisti, Presidente Siciliotti in testa, sono sempre sul pezzo e non perdono un colpo per affermare il ruolo anche sociale dei commercialisti italiani, quali naturali interlocutori tecnici delle istituzioni e dei cittadini per tutte le materie di loro competenza, rafforzando così l’immagine della categoria e, per proprietà transitiva, quella dei singoli iscritti.

Seconda possibile chiave di lettura dell’accordo: i vertici nazionali dei commercialisti, Presidente Siciliotti in testa, hanno completamente perso le coordinate perché vanno dal Ministro della Gioventù Giorgia Meloni per siglare un accordo che mira a supportare i giovani imprenditori, anziché per siglarne uno che supporti i giovani commercialisti (per i quali, consentiteci la battuta, non resta quindi che sperare in un futuro accordo che li riguardi, tra il medesimo Ministro e Confindustria).
Quale delle due chiavi di lettura è quella corretta?

In verità, entrambe le chiavi di lettura sono corrette e al tempo stesso sbagliate, perché pretendono di dare, rispettivamente, maggiore importanza alla forma o maggiore importanza alla sostanza nella valutazione del rapporto tra rappresentanti e rappresentati, quando invece le due cose hanno un’importanza assolutamente paritetica.
Senza sostanza, c’è solo apparenza; ma senza forma, la sostanza è più fonte di frustrazione che non di soddisfazione ed è proprio in presenza di essa, dunque, che maggiore deve essere l’impegno a darle una forma.

Risolte le questioni esterne, bisogna concentrarsi su quelle interne

Tre anni fa, quando l’attuale Consiglio nazionale ha iniziato il proprio mandato, è stato giusto puntare con particolare attenzione al rilancio della presenza della categoria nel dibattito non soltanto tecnico del Paese e all’interlocuzione verso l’esterno.
È stato giusto perché, se sotto molti punti di vista quello era un anno zero, da quel punto di vista si era addirittura sotto zero ed era quindi da lì che si doveva partire per costruire un tavolo che, alto o basso, bello o brutto, stesse perlomeno in piedi.

Oggi che, però, qualche risultato è stato ottenuto, bisogna proseguire su questa strada, ma anche valutare se è ancora quella la gamba del tavolo troppo corta, o se invece sia necessario rimodulare il livello di attenzione tra immagine esterna e questioni organizzative interne.
Un esempio per tutti: la questione “formazione professionale continua”, in questi giorni particolarmente sugli scudi anche nei commenti e nelle lettere dei colleghi sulle colonne di questo giornale, a fronte di una gestione, non soltanto a livello nazionale, quantomeno sorprendente (nel senso che, fra trienni che saltano, sentenze che sospendono e proroghe a macchia di leopardo che arrivano, è proprio una sorpresa dopo l’altra).

Qui non si tratta di smettere di guardare lontano, anzi: si tratta piuttosto cominciare a guardare dappertutto.
Compito non facile se si ha soltanto un paio di occhi, ma tutto sommato possibile se di paia se ne hanno ventuno e li si tiene aperti tutti.
D’altro canto, dove sta scritto che per curare la miopia si debba necessariamente diventare presbiti?

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