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LETTERE

Società tra professionisti: una soluzione per restare sul mercato

Giovedì, 14 aprile 2011

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Caro Direttore,
anche i professionisti avvertono il peso della crisi. Nel primo trimestre 2010 si stimava un calo del fatturato del 37%, con il 19% degli studi a rischio chiusura. Stiamo parlando di circa 2 milioni di persone, di cui il 50% autonomi e l’altro 50% impiegato con contratti vari: a tempo indeterminato, determinato o a progetto. Fortunatamente, stando ai primi dati a consuntivo sulle dichiarazioni 2010, il quadro sarà un po’ più roseo, sebbene i ricavi di studio scendano inesorabilmente e in maniera inversamente proporzionale alle incombenze fiscali e amministrative. Per il 2010 i ricavi medi passano da 113,1 a 109,6 mila euro per singolo studio.

Non male – potrebbe dire qualcuno – in tempo di crisi, ma la realtà è piuttosto diversa.
Consideriamo che nel contempo una società come Deloitte dichiara di assumere 360 persone, una buona parte nella revisione e nei servizi professionali, più le altre tra le Big 4 con altri ambiziosi piani di assunzione. Segno che gli affari devono andare benino da quelle parti.
Mi stupisco, però, di come le due informazioni non paiano delineare un quadro complessivo stridente: com’è possibile che operando sostanzialmente nello stesso settore (semplificando, specialmente per quel che riguarda le dimensioni della clientela non omogenee) si assista a un andamento tanto difforme?

Forse la visione della professione del commercialista come studio di piccola e piccolissima dimensione non incontra più in maniera efficace i bisogni dei clienti alle prese con mille tematiche oltre la solita dichiarazione dei redditi e contabilità.
Qualche studio professionale ha già intrapreso questa strada, ma la maggioranza dei commercialisti continua a operare in solitaria o quasi, basando la propria attività sulla capacità professionale e fuggendo da concetti come gioco di squadra o “team di lavoro”.

A mio giudizio, questo porta a una costante mancanza di specializzazione, che vede il commercialista sempre più spesso soccombere rispetto alle proposte delle società specializzate in questo o quel settore.
Nella sostanza il commercialista non ha molte esclusive professionali, per cui il processo competitivo continuerà a “picchiare duro” sino a quando una delle parti in campo non dichiarerà la propria resa.

Se non si dovesse convergere verso un’organizzazione più strutturata dell’attività del commercialista, purtroppo temo che la parte degli sconfitti tocchi proprio a noi.
Invoco a gran voce la possibilità di varare società tra professionisti come unica soluzione per chi non si vuole rassegnare a un lavoro da dipendente in una di queste grandi società americane.


Marco Arcari
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Monza e Brianza

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