Anche noi commercialisti dobbiamo farci guidare dall’etica
Egregio Direttore,
ho letto con grande interesse l’articolo apparso sul suo quotidiano dal titolo “La responsabilità sociale dell’impresa e il ruolo dei professionisti” dello scorso 18 maggio. Leggendolo, mi sono (purtroppo solo momentaneamente) astratto dalle questioni bagatellari che spesso ammorbano la nostra professione. L’etica, la responsabilità sociale d’impresa e il ruolo fondamentale di pubblica utilità del dottore commercialista sono argomenti che forse dovrebbero essere trattati più spesso, con maggiore attenzione, con rinnovata sensibilità, e chissà che questo non ci consenta di (ri)appropriarci del senso di appartenenza ad una categoria che a noi, più di altre professioni, onestamente manca.
Ed è proprio per continuare a immergermi nella soffice nuvola dell’astrazione dalla determinazione delle imposte che mi permetto di svolgere alcune brevi considerazioni sulle tematiche in parola.
Suscita in me stupore e interesse osservare come siano vicine le conclusioni di soggetti anche molto distanti tra loro, per formazione culturale e religiosa, quando si affronta la problematica del come mitigare e rendere meno aspri gli squilibri, ormai fortemente radicati, nel sistema economico mondiale.
Nella Enciclica Caritas in Veritate, il Papa Benedetto XVI invita a riconoscere che “lo sviluppo economico è stato e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall’attuale situazione di crisi” e, pertanto, “ciò richiede una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni”.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, questo in fondo non è un attacco a quelle che qualcuno potrebbe definire tentazioni liberistiche, e che di attacco non si tratta lo si capisce dalla constatazione che “l’economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici”, quindi ”non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l’uomo”.
L’auspicio del Papa è che “nel mercato si aprano spazi per attività economiche realizzate da soggetti che liberamente scelgono di informare il proprio agire a principi diversi da quelli del puro profitto, senza per ciò stesso rinunciare a produrre valore economico”.
Nella sua aconfessionale navigazione impressionantemente lucida tra marxismo e liberalismo, il professore Amartya K. Sen (premio Nobel per l’Economia nel 1998) ha cercato di conciliare l’etica e l’economia, attraverso una revisione che reca con sé l’arricchimento dell’economia del benessere “semplicemente” prestando maggior attenzione alla filosofia morale (cfr. “Etica ed Economia” - Ed. Laterza).
Sen afferma che l’economia, così come si è venuta costituendo, può essere resa più produttiva prestando una maggiore e più esplicita attenzione alle considerazioni di natura etica cui il comportamento e il giudizio umani sono informati: “non è mio scopo”, dice, “eliminare ciò che si è ottenuto o si sta ottenendo, quanto piuttosto chiedere di più”.
Non vi è nessuna prova certa, sostiene il premio Nobel, né del principio secondo cui la massimizzazione del razionale interesse individuale (c.d. “uomo economico”) fornisca la migliore approssimazione al comportamento umano effettivo, né, tantomeno, che essa sia capace di traghettare, necessariamente, nella direzione delle condizioni economiche ottimali.
Il complesso ragionamento filosofico ed economico seguito da Amartya K. Sen lo porta a sostenere che si debba ricercare un più stretto e intenso contatto tra etica ed economia, contatto che deve aiutare a gettare “una luce più profonda sul rapporto tra interesse personale e comportamento”.
Se queste due posizioni possono sembrare sorprendentemente similari invito alla valutazione delle riflessioni del professore Giovanni Bazoli, secondo cui è da ritenere inaccettabile una teoria economica “che consideri e giustifichi l’interesse personale ed egoistico quale motivazione esclusiva o prevalente dell’agire umano nel campo economico” (cfr. “Mercato e disuguaglianza” - Ed. Morcelliana).
Lo sguardo del professore e il suo plauso sono volti ai tentativi portati avanti dai singoli, dalle categorie di operatori economici e dall’associazionismo, che autonomamente si prefiggono di seguire regole etiche e solidaristiche di comportamento. È nella zona intermedia tra regole ed etica che le volenterose mani di coloro i quali, percependo l’insufficienza morale delle attuali regole di diritto, grattando lo strato superiore composto dall’etica fanno sì che frammenti se ne distacchino e possano poi germogliare nello strato inferiore abitato dal diritto.
La strada del diritto, se si tratta di buon diritto, sostiene Bazoli, è sempre preparata dall’etica.
Su questa strada bisogna che camminino, tra gli altri, i dottori commercialisti.
Marco Cramarossa
Presidente UGDCEC di Bari e Trani
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