Sbagliato pensare che gli studi di settore possano stimare esattamente l’evasione
Caro direttore,
ho letto la lettera del collega Giacomo Orazzini e la sua risposta (si veda “Studi di settore: rendiamo obbligatoria l’asseverazione del professionista”). Volevo esprimere sulla questione esposta il mio modestissimo parere.
Innanzitutto, non comprendo la sua condivisione. Dovremmo asseverare metri lineari di banconi e vetrine, numero di uova utilizzate, di posti a sedere, chilogrammi di farina consumati, superfici di immobili, n. di ore e settimane lavorate, percentuali di lavoro prestate e tutta una serie di dati, spesso inutili e ininfluenti sulle risultanze dello studio di settore (a dimostrazione della “raffinatezza” dello strumento)? E in cambio dell’ennesimo (gravoso) adempimento a carico nostro, quale remunerazione otterremmo dall’Amministrazione finanziaria: 1, 5 o 10 euro a dichiarazione? O saremmo pagati a tariffa?
Inoltre, premesso che mi auguro che nessuno abbia inteso dire che il dottore commercialista abbia influenza sulla mancata emissione da parte dei contribuenti di fatture e/o scontrini, si parte dal presupposto (per me clamorosamente errato) che lo studio di settore sia in grado di stimare esattamente l’evasione e che il contribuente intenda adeguarsi alle risultanze dello stesso.
Per quanto riguarda l’evasione, ricordo che il mio professore di Scienza delle finanze all’Università di Genova diceva che anche la scelta di pagare o meno le imposte, come tutte le scelte economiche, si basa sull’analisi costi-benefici e non su aspetti morali o di altro tipo.
Per contro, il livello di tassazione dei redditi, nel nostro Paese, è immorale.
Faccio un esempio: un medico ASL convenzionato (e quindi con redditi alla luce del sole) con due figli a carico (ipotizziamo che la moglie non lo sia perché ha un part-time da 500 euro al mese) che dichiara 100.000 euro di reddito e paga circa 8.500 euro di contributi previdenziali, deve versare imposte per circa 37.500 euro (IRPEF 32.500 euro, addizionale IRPEF 1.250 euro e IRAP 3.750 euro). Pertanto il reddito a sua disposizione diventa pari a 54.000 euro! La pressione fiscale diretta sul reddito disponibile è pari al 41% (o sbaglio?) e lo Stato gli riconosce, per i figli a carico, una detrazione di circa 100 euro (dico, 100 euro!). Se questo contribuente volesse affiancare all’attività suddetta una attività libero professionale, su ogni 1.000 euro di reddito egli dovrebbe versare imposte per 483 euro (48,3%)!
Infine, e concludo, mi stupisce che ci sia qualcuno, nel nostro Paese e ancor più tra i colleghi, che si illuda che eventuali risorse reperite dalla lotta all’evasione saranno usate per ridurre imposte e tasse.
Giuseppe La Rocca
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Sanremo
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