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LETTERE

Abbiamo studiato Keynes per poi non applicarne le teorie

Lunedì, 30 aprile 2012

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Spettabile Redazione,
non mi trovo d’accordo con le considerazioni espresse dal collega Marcello Murabito nella lettera pubblicata lo scorso 26 aprile 2012, in relazione al “peso” del debito pubblico.

Non ho analizzato le serie storiche del debito e non ho considerato l’effetto “spread” sull’ammontare degli interessi che lo Stato paga ogni anno; non ho tenuto conto dei riflessi più o meno inflazionistici o della possibilità di una svalutazione dell’euro (tutte cose che, a mio avviso, devono essere considerate di secondo piano, seppure importanti), ma non riesco a capire una cosa: alla Ragioneria e all’Università mi hanno fatto studiare le “avventure” di un certo Keynes il quale diceva che, in tempi di crisi, lo Stato dovrebbe intervenire nell’economia aumentando la spesa pubblica. Questo dovrebbe portare ad un aumento della spesa dei vari soggetti economici, dando vita ad una “spirale” (moltiplicatore) di altre spese che a loro volta dovrebbero generarne altre e così via. E se c’è qualcuno che compra, dovrà esserci anche qualcuno che produce e vende.

Ho parlato di questo con vari deputati e senatori ed anche con un sottosegretario all’Economia, ma la risposta è stata un muro: “c’è il patto di stabilità” oppure “io sono abituato che in casa mia le uscite non possono essere superiori alle entrate”. Ma insomma, sei lo Stato, non sei “a casa tua”! Il patto di stabilità l’hai definito tu; rimuovilo o rivedilo. Oggi va di moda il pareggio di bilancio: non c’è momento peggiore per perseguirlo di un periodo di crisi! Se proseguiamo in questo modo l’economia si ferma e non può certo ripartire se nessuno spende più. Tanto più se l’imposizione fiscale va ad incidere di più (in proporzione al reddito) sulle fasce più deboli dell’economia, quelle che la fanno già girare al massimo delle loro capacità, perché spendono tutto o buona parte del loro reddito.

Penso che in questo momento non bisogna ridurre la spesa pubblica, bensì razionalizzarla, riducendo i compensi a chi guadagna già molto e non riesce a spendere tutto ciò che incassa e aumentando il numero dei lavoratori con uno stipendio “normale”, che hanno una maggiore propensione al consumo. Non è, quindi, il momento di tagliare posti di lavoro in nessun settore pubblico; al limite si può tagliare il numero degli amministratori delle imprese di Stato o, perlomeno, ridurne i compensi.

Un parlamentare mi ha detto che nel 2012 pagheremo 80 miliardi di euro di interessi. Io gli ho risposto che se non c’è più nessuno che lavora non riusciremo a pagarne nemmeno 40. Spero di non essere preso per un comunista; mi ritengo una persona equilibrata di centro. Infine: qualcuno mi sa dire perché a scuola ci hanno fatto studiare Keynes e poi, quando è il momento di applicare i suoi principi, tutti lo hanno dimenticato?


Michele Comparin
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Verona


***


Caro Collega,
a parte il fatto che, in termini assoluti, essere preso per un comunista non è più disdicevole o più onorevole che essere preso per un leghista o una persona equilibrata di centro, temo che la teoria di Keynes, assolutamente valida in astratto, faccia fatica a calarsi nella realtà di un intero sistema economico occidentale che ha utilizzato la spesa in modo fortemente espansivo anche quando non sussistevano i presupposti di crisi che avrebbero reso non solo legittima, ma anzi auspicabile questo tipo di politica economica. In termini brutali e assolutamente semplicistici, Keynes ce lo siamo giocati per avere due macchine e quattro telefonini nei periodi in cui, anche senza politiche di spesa espansive, avremmo potuto comunque permetterci almeno un auto e due telefonini.

Tralasciando la preistoria della Prima Repubblica, tra il 2001 e il 2006 la spesa pubblica italiana è cresciuta in termini reali del 21,22% e a tutt’oggi abbiamo riassorbito solo una minima parte di quell’incremento. La vera beffa è che, non essendo stati solo noi a gestire così malamente la funzione anticiclica della spesa pubblica, lo stock complessivo dei debiti in circolazione è oggi talmente elevato da rendere difficile il ricorso a politiche keynesiane anche a Paesi come Spagna e Irlanda che, negli anni buoni dell’economia, chiudevano con avanzi di bilancio e avrebbero oggi tutto il diritto di far esplodere senza ritegno il proprio deficit per finanziarsi in attesa della ripresa economica.

L’alternativa sempre possibile è quella di uscire dall’Euro e mettersi a stampare carta moneta come degli ossessi per tre, quattro settimane di fila, ventiquattro ore al giorno.
Molti ritengono che sarebbe sicuramente una scelta suicida, alcuni no.


Enrico Zanetti
Direttore Eutekne.Info

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