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LETTERE

Contro l’omesso versamento IVA, andrebbe tutelato il credito erariale

Mercoledì, 6 agosto 2014

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Caro Direttore,
leggo nelle ultime settimane i commenti di vari esponenti politici e di Governo circa la prossima probabile riscrittura del reato di omesso versamento IVA. Da più parti si preannuncia non una radicale soppressione della fattispecie (come sarebbe logico attendersi), ma una sua attenuazione, per evitare – si dice – che se ne giovino i “furbi”.

Non è ben chiaro in cosa consista la furbizia di chi fattura regolarmente le operazioni attive (magari anche molto tempo prima di riceverne il pagamento, cosa che in Cassazione ancora non è stata assimilata del tutto, ma non ci disperiamo e confidiamo in un suo apprendimento delle dinamiche finanziarie aziendali), le registra tempestivamente, le liquida di mese in mese, non versa il tributo per carenza di liquidità e poi dichiara il tutto – senza mendacio né fraudolenza – alla scadenza del 30 settembre dell’anno successivo.

Chiaro è, piuttosto, che non sono poi così furbi quelli che non pagano l’IVA adempiendo a tutti gli obblighi citati, mentre è la macchina statale che forse non funziona come dovrebbe, quando permette a interi gruppi di non versare indisturbati l’IVA per anni, senza assumere nemmeno le più banali iniziative per tutelare il credito erariale.

A Treviso, città dove opero, si è consumato l’anno scorso il dissesto di un gruppo (che ha guadagnato le cronache nazionali per ragioni che nulla avevano a che fare con la prassi di non versare l’IVA, comune a moltissime realtà aziendali come finalmente qualcuno anche a Montecitorio pare abbia scoperto): dal 2010 le società, afflitte da restrizione del credito bancario e da una gestione inefficiente, non versavano l’IVA, pur procedendo con regolarità e tempestività agli adempimenti formali e dichiarativi.

Verso la primavera del 2012 pervenivano i primi avvisi bonari per l’IVA del 2010, per importi ben superiori ai fatidici 50 mila euro, ma senza alcun innesco dell’azione penale (cosa ci vorrà a prevedere che un avviso bonario sopra soglia sia trasmesso in copia alla Procura, alla faccia dell’obbligatorietà dell’azione penale); l’Erario sapeva quindi tutto da settembre del 2011 e poteva adottare le misure del caso per acquisire, ad esempio, garanzie reali a proprio favore (vi erano parecchi immobili nelle società in questione, molti dei quali liberi da ipoteche). Nulla di tutto ciò è accaduto, perché la prassi – pacifica e diffusa – prevede che, se il contribuente mette in rateazione l’avviso bonario (operazione che si perfeziona in via telematica e senza il rilascio di alcuna garanzia), tutto va avanti senza problema; in questo modo si è arrivati a omettere anche il versamento dell’IVA del 2011 e del 2012.

Solo a fine 2013 – allo scoppio del dissesto – sono scattati i controlli (tanto rumorosi quanto inutili) ed è emerso l’accumulo di IVA non pagata per milioni di euro; ma, a quel punto, le procedure concorsuali erano partite, col che l’Erario non ha potuto acquisire alcun privilegio tale da permettergli una prospettiva di concreta soddisfazione nelle stesse.

Alla luce di ciò, mi chiedo: sono stati furbi gli amministratori (ora sotto procedimento penale ex art. 10-ter con relativi sequestri dei patrimoni personali, che nulla hanno a che fare con gli effetti dei mancati versamenti di IVA da parte delle società, i cui immobili sono a disposizione delle procedure concorsuali per i creditori dotati di privilegio poziore rispetto a quello riservato all’IVA), o ha dormito l’Erario?

Quanto ci vorrebbe a prevedere una procedura automatica di allerta (che potrebbe scattare già a gennaio dell’anno successivo a quello di invio delle dichiarazioni), che implichi – nei casi di omessi versamenti per importi rilevanti – l’acquisizione di garanzie, pena l’arresto dell’attività? Se ciò fosse stato fatto, oggi l’ammanco per IVA non versata sarebbe molto inferiore e forse si sarebbe anche bloccata per tempo una conduzione aziendale dannosa per l’intero sistema, che invece si è prolungata per quasi un triennio sfociando in un dissesto che ora richiede dispendiose e non sempre efficaci procedure concorsuali. Eppure i dati erano tutti a disposizione del Fisco: bastava usarli con pragmatismo ed efficienza, invece di lasciare che il sistema si limitasse a partorire gli innocui avvisi bonari.

Ma allora la soluzione è intasare le procure con procedimenti penali privi di rilevanza sociale (quando in molti casi gli imputati non han fatto altro che pagare, in luogo dell’IVA, i propri dipendenti) o dare una raddrizzata elementare al meccanismo Agenzia Entrate/Equitalia? E servirà mai a qualcosa andare a indagare (non si sa bene in base a quali indicatori) sullo stato di necessità o meno dell’amministratore che non ha versato l’IVA, quando esistono già fattispecie di reato (bancarotta preferenziale, distrazione, ecc.) idonee a reprimere i comportamenti di chi non ha pagato l’IVA per rimborsare le banche o per soddisfare qualche fornitore correlato?

Non ci resta che confidare nella lucidità dei purtroppo pochi addetti ai lavori legislativi.


Mario Iadanza
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Treviso

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