A beneficiare del pegno mobiliare non possessorio saranno le banche
Gentile Redazione,
scrivo di getto queste righe dopo aver letto il testo del DL 3 maggio 2016 n. 59 ed in particolare quello del suo art. 1 rubricato: “Pegno mobiliare non possessorio”.
Nella mia qualità di commercialista che collabora stabilmente con il Tribunale in veste di curatore fallimentare e, più in generale, di professionista che assiste imprese, oggi purtroppo spesso in condizioni di difficoltà, resto sconcertato nell’apprendere come questa modifica legislativa sia stata considerata tanto urgente da essere approvata con decreto legge ed in tempi così stretti.
Mi spiego meglio: è chiaro come i principali (se non unici) beneficiari di questo nuovo strumento saranno gli istituti di credito che, grazie ad esso, potranno ottenere dagli imprenditori una garanzia ulteriore sugli affidamenti loro concessi nella forma appunto di questo nuovo pegno che potrà essere concesso su beni mobili che continueranno ad essere impiegati nel processo produttivo.
Mi è altrettanto chiaro il perché questa modifica sia stata chiesta dal ceto bancario così a gran voce: è proprio quest’ultimo infatti ad avere spesso nei fallimenti l’ammontare maggiore di crediti chirografari destinati a rimanere integralmente o, nei casi migliori, in larghissima misura, insoddisfatti. Il problema è che mi è facile prevedere come, da oggi in poi, tale forma di garanzia sarà richiesta dalle banche per concedere qualunque tipo di affidamento di fatto convertendo tutto l’ammontare dei loro crediti da chirografari a privilegiati.
Questo genera un primo, enorme, problema: con questa modifica, infatti, l’unica fetta importante di debiti delle aziende assoggettate a procedure concorsuali che rimarrà chirografaria sarà quella dei fornitori dell’azienda (erario, previdenza, professionisti, dipendenti, ed ora anche banche, godono tutti di privilegio) quindi, di fatto, i primi a subire in toto l’effetto del fallimento di un loro cliente saranno proprio i soggetti più deboli e maggiormente esposti anch’essi all’attuale stato di profonda crisi economica, nonché sprovvisti della forza contrattuale necessaria per ottenere anch’essi la garanzia del pegno non possessorio.
Prima di procedere a tale modifica normativa mi sarei dunque aspettato una generale revisione della disciplina sui privilegi con una loro significativa razionalizzazione e restrizione (penso, ad esempio, all’assurdo privilegio concesso all’erario sulle sanzioni), in base alla considerazione secondo la quale concedere a tutti il privilegio equivale a non concederlo a nessuno, o, come da oggi in poi accadrà, a discriminare le uniche categorie che tale privilegio non hanno.
Ma il problema generato dalla norma è ancora più grave: chiunque operi nell’ambito delle vendite giudiziarie competitive sa che il valore che si può ricavare dalla vendita di un bene tramite queste ultime è, per sua stessa natura, di gran lunga inferiore al valore di mercato e ciò per il fatto intrinseco ed inevitabile che il valore a cui i beni saranno venduti sarà giustamente quello di liquidazione.
Non vi è alcun modo per proteggere il debitore da ciò e l’interesse del creditore procedente sarà ovviamente limitato all’ammontare del suo credito che ben potrà essere di gran lunga inferiore al valore dei beni concessi in garanzia. In quest’ottica mi desta grande preoccupazione il dettato della lettera d dell’art. 1 del DL 59 2016 in base al quale, se previsto nel contratto di pegno, il creditore potrà appropriarsi direttamente dei beni oggetto di garanzia ad un valore predeterminato nel contratto stesso.
Privare l’azienda in difficoltà di asset necessari al processo produttivo significa infatti decretarne, quasi certamente, la morte ed attribuire tale potere ad un terzo mi pare quantomeno azzardato.
Alfonso Mariella
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano
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