L’istituzione deve essere al servizio del cittadino, non viceversa
Gentile Redazione,
chi ci impedisce di avanzare come proposta che se l’amministrazione ritiene utile la nostra collaborazione è lecito che corrisponda un compenso per i nostri servizi, adeguato e commisurato a meriti e complessità degli stessi?
Perché solo ed esclusivamente sul cliente deve gravare l’onere del compenso per adempimenti complessi e farraginosi che la macchina fiscale ha voluto istituire, in netto spregio ai principi di semplicità, efficacia e trasparenza, come base della riforma tributaria avvenuta nel lontano 1972?
Quello che ai commercialisti viene continuamente richiesto è coerenza e correttezza professionale, ma con quale pretesa se poi gli stessi principi non valgono anche per la Pubblica Amministrazione?
Mi sembra più che lecito chiedere uniformità di comportamento!
Quindi è ora di dire basta ad un atteggiamento che oramai, di fatto, è di sudditanza verso i contribuenti.
Basta adottare due pesi e due misure, ossia da un lato ci viene chiesto precisione e rigore scientifico, a suon di pesanti ed onerose sanzioni amministrative (tal volta anche detentive) e dall’altro esiste un’Amministrazione Pubblica che agisce non curante dei continui soprusi ed abusi ai danni dei malcapitati contribuenti.
Si pensi ai tempi di evasione entro i quali vengono portate a compimento determinate pratiche: ad esempio quella di accertamento che, quasi sempre, viene effettuata in un arco temporale di oltre 40 giorni, lasciando al contribuente insieme allo sventurato professionista incaricato, il restante lasso di tempo a compimento dei termini di scadenza (60 giorni), entro i quali presentare opposizione, barcamenandosi in un complicato e controverso ricorso.
Questi semplici spunti costituiscono la via maestra da percorrere se vogliamo che “l’istituzione sia al servizio del cittadino” e non viceversa.
Vincenzo De Lucia
Membro commissioni Pari Opportunità e Aggiornamento Attualità Professionale ODCEC di Milano
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