Solo con la coesione possiamo diventare interlocutori necessari
Caro Direttore,
nonostante la nostra categoria sia stata in questi ultimi anni capace, lungimirante e soprattutto pronta agli adattamenti imposti dal contesto economico-sociale del Paese, tuttavia non siamo riusciti, allo stato dell’arte, ad ottenere altro se non il diritto di ritenerci indignati e amareggiati.
Siamo oltre centomila lavoratori invisibili ai quali, per rivendicare ruolo e dignità, non può certo bastare la durezza dei toni e il ruggire da coniglio; per cui il mio convincimento personale è che fino a quando non saremo in grado di costruire la coesione necessaria per fare unità di corpo e non smetteremo di concorrere al ribasso gli uni contro gli altri, bisognerebbe amareggiarsi e indignarsi di noi stessi.
Fino a quando non riusciremo a definire una qualsivoglia forma di lotta efficace, non saremo in grado di reggere l’urto delle continue azioni di demolizione perpetrate a danno della nostra categoria, resteremo sempre parte debole, incapaci di rivendicare il nostro essere, destinati a rimanere chiusi nella figura del “Carneade manzoniano”.
Da tempo ci spendiamo di volere essere utili al Paese e protagonisti del cambiamento, compreso ovviamente il nostro. Mi accorgo invece che, proprio per la nostra scarsa coesione, ci si approfitta sempre più della nostra utilità e ci si arroga anche la pretesa di volerci cambiare.
Non è di poco conto il fatto che siamo asserviti all’Amministrazione finanziaria nella peggiore forma di sudditanza, e che siamo diventati, nostro malgrado, tutti “collaboratori di giustizia”, addossati di responsabilità e sanzioni insopportabili. E non è certo finita qui.
Abbiamo tante associazioni che da tempo ne parlano, fanno comunicati stampa, si oppongono, spesso propongono, ma non hanno finora trovato la forza e la coesione di formare un fronte unitario capace di fare attribuire a questo esercito di energie, quale noi siamo, il merito e il riconoscimento che gli compete per il ruolo svolto. Ma forse non è corretto prendersela tanto con il sindacato se il nostro rappresentante legale è il Consiglio nazionale verso cui, in fondo, la nostra protesta dovrebbe essere davvero rivolta.
Ben venga l’azione promossa dalle diverse sigle sindacali per il 14 dicembre a Roma. Se sarà presente il Consiglio nazionale, come tutti auspicano, in una sorta di riunione allargata, potrà essere l’occasione per guardarci finalmente in faccia e cominciare a dire con schiettezza come stanno le cose e come siamo messi. Vi sono categorie capaci di bloccare trasporti, sanità, giustizia nei tribunali; e noi ci indigniamo e ci amareggiamo soltanto?
Il sindacato con in testa il Consiglio nazionale dovrebbero modellare fattispecie di lotta in grado di farci diventare interlocutori non solo utili, ma anche necessari e quindi autorevoli. Del resto, cosa è ritenuto utile se non ciò che procura disagio allorché venga a mancare?
E noi, fino a quando non saremo in grado di bloccare qualcosa, non conteremo mai nulla.
Non basta quindi solo lamentarsi, per esempio, della falcidia operata al collegio sindacale. Perché allora non cominciare a pensare di astenersi dal farne parte, lasciando gli enti pubblici privi di organi di revisione? E nel campo delle amministrazioni giudiziarie perché non si prova a disertarne gli incarichi?
Per ottenere un risultato, il coraggio di qualche rinuncia bisogna pur averlo e forse, con più determinazione del Consiglio nazionale a livello politico istituzionale, cominciare a modellare simili forme di protesta ci potrà aiutare davvero a essere ritenuti professionisti utili.
Giuseppe Caggegi
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Catania
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