Distilli: «La professione tiene, ma serve nuovo appeal»
Il neo-Presidente della Cassa dottori sulle nuove sfide che attendono l’ente: welfare strategico per supportare l’evoluzione della categoria
Poco meno di una settimana dall’insediamento, ma per Stefano Distilli, neo-Presidente della Cassa di previdenza dei dottori commercialisti, le sfide sono già chiare: supportare gli iscritti nel superare le difficoltà causate dall’avvento della pandemia e, allo stesso tempo, proseguire il percorso di crescita che l’ente ha intrapreso. In quattro anni, le riserve patrimoniali sono aumentate del 21,5% e il rapporto tra riserve e pensioni è passato dal 26,6 del 2016 al 29,7 del 2020, con un incremento delle prestazioni di welfare del 14%.
Presidente, come si fa a proseguire su questa strada?
“Il difficile sarà proprio questo. Veniamo da un quadriennio di crescita che è dipeso da tanti fattori: da un lato, le dinamiche professionali sono state decisamente positive, in termini di nuove iscrizioni, di redditi e di contribuzione; dall’altro, ci sono state dinamiche di tipo finanziario particolarmente favorevoli. Nel solo 2019, il rendimento dei nostri investimenti è arrivato quasi al 9%. Sono risultati che dovranno essere mantenuti e consolidati nel corso del tempo ma alla luce delle problematiche attuali, interne ed esterne alla professione”.
In effetti, siamo ancora nel pieno della pandemia.
“Le incognite sono molte. Riguardo agli investimenti, la situazione dei mercati dovrà essere monitorata con grande attenzione ma, già prima della pandemia, l’impostazione della nostra asset allocation andava nella direzione di un progressivo consolidamento e messa in sicurezza di investimenti e patrimonio”.
Quindi, in questi mesi il contraccolpo è stato contenuto?
“Siamo via via andati verso un portafoglio il più possibile differenziato rispetto alle varie asset class, ragionando su una dinamica di lungo termine, in modo da controllare il più possibile il rischio e le oscillazioni di mercato. Tant’è che, per fortuna, anche in questo anno così tragico il nostro portafoglio ha tenuto rispetto a tutte le oscillazioni che ci sono state soprattutto in primavera. Ci aspettiamo di chiudere con rendimenti positivi anche il 2020. Quanto al prossimo futuro, la nostra strategia di asset allocation è stata già definita nell’assemblea di ottobre e si lavorerà in assoluta continuità con quanto fatto fino ad oggi”.
Vi aspettate rendimenti più bassi?
“In questo momento, c’è da pensare che lo saranno rispetto al passato prossimo. Rendimenti più elevati richiedono rischio più elevato e questo non è il lavoro di una Cassa di previdenza. La diversificazione, le strategie alternative, gli investimenti in economia reale sono quegli strumenti che ci permettono di uscire dal paradigma attuale, dove i tassi sono negativi, e di andare su strategie di crescita progressiva dei rendimenti, che servono anche per finanziare gli interventi di assistenza agli iscritti”.
Con una delle ultime delibere si è deciso che si potrà dedicare al welfare fino al 5% dell’avanzo corrente. Come potranno essere utilizzate le extra-risorse?
“L’obiettivo è stare sempre più vicini alla categoria, ma bisogna anche avere gli spazi regolamentari per poterlo fare”.
È un appello alla politica, che intanto pare stia ragionando sulla possibilità di introdurre degli ammortizzatori sociali anche per i lavoratori autonomi?
“Ben vengano iniziative a favore dei professionisti, anche se poi non sembrano mai semplici da applicare. Forse servirebbe un po’ di pragmatismo in più e lavorare sulle proposte che sono già sul tavolo ma che non riescono ancora a trovare spazio”.
Ad esempio?
“La detassazione degli interventi straordinari di carattere assistenziale e la riduzione della tassazione sui rendimenti finanziari, portandola quantomeno a livello di quella applicata ai fondi pensione (dall’attuale 26 al 20%, ndr). Questo ci permetterebbe di liberare risorse da destinare anche al welfare”.
Pensa anche lei che ci sia stata discriminazione nei confronti dei professionisti?
“Mi pare evidente che l’attenzione rispetto al mondo dei professionisti sia stata alquanto relativa in questa fase. In qualche modo, si è cercato anche di scaricare sulle Casse interventi di carattere assistenziale-sociale di base, che per la generalità della popolazione sono stati finanziati dallo Stato. Siamo considerati come sostitutivi di un intervento di carattere pubblico, pur sapendo che possiamo contare solo sulle nostre risorse, peraltro destinate alla previdenza degli iscritti”.
A proposito di previdenza, prima parlava della crescita dei contributi pre-pandemia, quali sono i numeri? Si aspetta un calo vista l’attuale situazione?
“L’operazione di educazione previdenziale che abbiamo fatto negli ultimi anni ha portato a una crescita progressiva delle contribuzioni: nel 2019 la percentuale di contributo soggettivo versato mediamente dagli iscritti è arrivata al 13,1%. Convincere i colleghi a versare di più rispetto al minimo non è consueto. Ora è chiaro che ci troviamo in una situazione straordinaria ma dai dati che abbiamo, ancora del tutto parziali, in questi mesi pare ci sia stata una tenuta dei versamenti, anche riguardo alla scelta di versare di più rispetto al minimo”.
Quindi, anche con la sospensione fino al 30 novembre, gli iscritti hanno continuato a versare?
“Avevamo fatto delle previsioni molto prudenti, ma i dati ci dicono che tanti colleghi stanno continuando a versare le rate nelle tempistiche dovute. Anche sul prossimo anno le nostre ipotesi sono prudenziali. Ci aspettiamo che degli effetti ci siano, anche perché le contribuzioni saranno determinate dalle dichiarazioni 2020, ma i dati ci fanno pensare a una significativa tenuta dei numeri”.
A proposito di numeri, il recente rapporto di CNDCEC e FNC certifica il costante calo degli iscritti, che l’anno scorso sono diminuiti per la prima volta, perlomeno riguardo alla sezione A. Questo genera preoccupazione?
“È evidente che le dinamiche professionali hanno subito un rallentamento, ma i dati di quel rapporto tengono conto di due dinamiche contrapposte, la crescita dei dottori commercialisti e la progressiva riduzione dei ragionieri. Se consideriamo gli iscritti alle due Casse al 31 dicembre 2019, in tutto 98.308, la CNPADC è cresciuta dell’1,7%, passando da 68.552 a 69.719 iscritti, mentre dall’altra parte c’è stata una riduzione dello 0,65% degli iscritti a Cassa ragionieri. Quindi non c’è relativa preoccupazione, ma il problema esiste, come dimostra il consistente calo dei praticanti, ed è chiaro che va affrontato”.
Come?
“È un ragionamento che va fatto assieme alle altre istituzioni di categoria, in primis il Consiglio nazionale. Bisogna trovare il modo per fare sì che la categoria ritrovi appeal. Noi, dal canto nostro, possiamo interpretare le dinamiche della categoria e mettere a disposizione misure di welfare che possano supportare innanzitutto i giovani e affiancare i professionisti nella naturale evoluzione della professione”.
Ecco, come se l’immagina l’evoluzione della professione?
“Una professione che dovrà lavorare di più in rete, con sviluppo di professionalità che possano integrarsi con altri professionisti per fornire servizi a 360°. Se lo tariamo sulla situazione attuale, un commercialista che non passi 7 giorni su 7 a istruire le pratiche per la richiesta dei contributi a fondo perduto ma che possa essere di supporto alle imprese in un’ottica di riorganizzazione e ripartenza, supportandole a tutto tondo”.