Asvisio: «I commercialisti non sono utili, ma indispensabili per il Paese»
Secondo il Presidente dell’ODCEC di Torino è necessario superare al più presto lo stallo elettorale: «Ne va della nostra credibilità»
“La professione ha tenuto duro, diventando un riferimento non solo professionale, ma anche psicologico, per tante persone. Ora è importante consolidare questo ruolo. Non possiamo perdere questa occasione”. Inizia così la chiacchierata che Eutekne.info ha fatto con Luca Asvisio, Presidente dell’Ordine di Torino, preoccupato che lo stallo nelle procedure elettorali, sospese in via cautelare dal Consiglio di Stato, possa minare ulteriormente la credibilità della professione nei confronti della politica.
Presidente Asvisio, perché la politica fa fatica a comprendere la centralità dei commercialisti?
“Perché noi risolviamo problemi e ci lamentiamo poco e, in questi casi, non si è mai tenuti veramente in considerazione. Forse, a livello locale, dove c’è più continuità tra le istituzioni, la situazione è diversa, ma a livello nazionale esiste ancora questo deficit, che può essere colmato solo con una lobby forte da parte della categoria. Mi auguro che il prossimo Consiglio nazionale sia particolarmente attento su questo punto”.
Quale deve essere l’obiettivo?
“Non per forza le esclusive, ma difendere quello abbiamo già grazie al nostro bagaglio di competenze. Non ne faccio un discorso corporativistico, ma se pensiamo, ad esempio, alla recente proposta di legge che prevede per noi nuovi esami di abilitazione in ambiti in cui operiamo da sempre sembra quasi folle. Non si può accettare di essere sistematicamente saltati da soggetti che non hanno le nostre competenze ma magari i giusti appoggi politici. Serve che ci sia un riconoscimento anche per noi, che poi si tratti di specializzazioni, esclusive o altro, è un problema che lascio alla politica”.
Intanto, le procedure elettorali sono bloccate. Come sta vivendo questo stallo?
“Torino è un’isola felice, nel senso che le cose funzionano grazie a una struttura che da anni è stata costruita e lavora bene. Dal punto di vista pratico non cambia nulla. Da quello formale, invece, il fatto di rinviare le elezioni ha delle ripercussioni soprattutto agli occhi di chi ci vede da fuori. Continuiamo a sembrare una categoria fin troppo impegnata a litigare”.
Nel merito del ricorso che ha portato allo stallo, è d’accordo con le quote di genere?
“Sono favorevole, ma non all’obbligo di legge. Ho sempre pensato che a rappresentare la categoria debbano esserci persone in gamba, siano esse uomini o donne. Mi sembra tutto un po’ un teatrino che ci delegittima ulteriormente. Poi se dobbiamo introdurre le quote di genere le metteremo, posto che se bisogna parlare di riforma del DLgs. 139/2005, dovevamo farlo a suo tempo, non sotto le elezioni”.
Quindi, a prescindere dal fondamento della questione, crede sia stato proprio inopportuno il ricorso?
“I ricorsi uno può anche presentarli, il problema è che poi vengono strumentalizzati e bloccano una macchina che in questo momento avrebbe bisogno di essere forte per portare avanti la difesa di questa categoria. La professione sta soffrendo, perché stanno soffrendo i nostri clienti, gli adempimenti sono sempre più ampi e la gente comincia a pensare che non sia più una professione da consigliare ai propri figli. Questa è una sconfitta. Sempre più spesso gli iscritti mi chiedono quale sia il valore aggiunto di essere iscritto all’Ordine. Di fronte a questa situazione dobbiamo dare segnali forti che in questi anni non ci sono stati”.
Una critica all’attuale governance?
“Non voglio criticare nessuno. Però, bisogna alzare i toni e far capire che i commercialisti sono fondamentali per questo Paese. Non utili, come diceva il famoso slogan lanciato dal Consiglio nazionale, ma indispensabili, perché alla fine chiunque ha bisogno di noi”.
In una recente intervista il Presidente Miani ha detto che le contrapposizioni interne hanno inciso molto sulla mancanza di risultati. Pensa anche lei che sia necessario fare quadrato?
“Sicuramente bisogna fare quadrato, ma penso anche che le critiche vadano accettate se sono costruttive. Non necessariamente si deve avere un’unica lista se ci sono più anime, anzi è giusto che tutti abbiano la possibilità di portare avanti le proprie istanze. Poi è corretto lavare i panni sporchi in casa, ma se lo scopo non è quello di coltivare gli interessi personali si può e si deve anche essere critici. Sta al Consiglio nazionale cercare di fare sintesi e capisco che non è un lavoro semplice. In generale, riconosco che essere un rappresentante nazionale comporta un grosso sacrificio, perché si dedica tanto tempo alla causa della categoria”.
In tempo di populismo dilagante, qualcuno farebbe notare che tale impegno è anche ben retribuito.
“Ma se si facessero le cose che devono esser fatte, per me potrebbero anche guadagnare di più, l’importante è che non ci siano sovrastrutture. Noi versiamo al Consiglio nazionale circa 15 milioni di euro all’anno e con quella cifra son tante le cose che si possono fare”.
Lei si è candidato nuovamente come Presidente dell’Ordine di Torino. Ma il fatto che i tempi si stiano allungando potrebbe permettere un rimescolamento degli schieramenti o la definizione di nuovi progetti?
“Non sono in grado di dirlo, ma non penso che sia un problema di schieramenti. Gli aspetti fondamentali sono i programmi e le idee. Poi magari potrà anche venir fuori qualcosa di nuovo e si potrà provare a fare una sintesi, ma è importante che non si stia lì con il manuale Cencelli per definire chi deve entrarci e chi no. Preferisco perdere e non essere rappresentato se devo esserlo in una maniera non adeguata”.
Magari potrebbe anche esserci la possibilità che sia direttamente lei il rappresentante e non il rappresentato.
“Mi è stato chiesto in alcuni casi anche di guidare un progetto nazionale e, ovviamente, mi ha fatto piacere, ma bisogna essere consapevoli di cosa si può mettere a diposizione. In questo momento, non credo che riuscirei a conciliare l’impegno che richiede un incarico a livello nazionale con le mie esigenze professionali e famigliari e non potrei dedicare a questo ruolo tutto il tempo che serve”.
Intanto, per l’11 gennaio è prevista un’assemblea straordinaria dei Presidenti, in cui verrà fatto il punto della situazione sulle questioni elettorali. Crede ci sia il rischio commissariamento?
“Ne abbiamo vissuto uno qualche anno fa e credo che averne un altro sarebbe devastante. Spero che si cerchi di arrivare a delle soluzioni. Mi auguro che chi ha fatto i ricorsi possa anche metterci un po’ di testa e che non l’abbia fatto solo per arrivare al rinvio delle elezioni. Bisogna trovare una soluzione che possa andar bene a tutti. Se dobbiamo cambiare il 139 e metter dentro le quote di genere, facciamolo, purché non si rimanga in questa situazione a lungo”.
E se invece ci fosse una proroga dell’attuale mandato?
“Credo che anche in questo caso, alla lunga, il Consiglio nazionale perderebbe forza. Abbiamo davanti 4 anni fondamentali e bisogna investire da subito in una programmazione seria, rappresentandoci con le forze politiche in maniera da ottenere qualcosa”.
Anche perché, stando all’ultimo rapporto sulla professione, la categoria continua a perdere appeal, con numeri di nuovi iscritti sempre più bassi.
“I numeri, a Torino, non sono così brutti. Certo, non crescono più come prima ma una piccolissima crescita rimane. Poi, è vero che c’è un sentimento generale per cui la professione è considerata talmente impegnativa che la gente non la sceglie. Magari c’è anche la paura che non ci sia più lavoro per tutti. Ma bisogna lavorare per dare nuovi sbocchi. Proviamo a correre su ambiti che fanno parte già delle nostre competenze ma che magari fino ad oggi abbiamo lasciato più marginali. Le specializzazioni, che poi sono state attaccate o cavalcate, sono un elemento che abbiamo già di fatto. Se poi abbiamo anche un riconoscimento di diritto ben venga, ma l’importante è che pensiamo anche noi di sviluppare quelle competenze”.
Insomma, non passa tutto dalla riforma del 139?
“Lo possiamo anche riformare, ma ci rendiamo conto di quante sono le nostre potenzialità e di quanto poco riusciamo a metterle a terra? Questo è il punto. Proviamo tutti insieme a lavorare per ottenere qualche cosa a favore di tutti. Ma bisogna anche darsi da fare per essere noi gli attori protagonisti e non solo succubi delle scelte altrui”.
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