Incostituzionale limitare i soggetti abilitati ad attivare la procedura di emersione del lavoro nero
La Consulta, con la sentenza n. 149, depositata ieri, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, con riferimento all’art. 3 comma 1 Cost., dell’art. 103 comma 1 del DL 34/2020 (conv. L. 77/2020) nella parte in cui prevede che la domanda per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o stranieri, possa essere presentata soltanto da datori di lavoro stranieri in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo ex art. 9 del DLgs. 286/98 (Testo unico dell’immigrazione), invece che da datori di lavoro stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.
La questione di legittimità costituzionale è stata ritenuta fondata per la manifesta irragionevolezza della norma oggetto di censura, poiché la stessa stabilisce un requisito di accesso alla procedura di emersione degli stranieri dal lavoro irregolare eccessivamente restrittivo.
Infatti, il requisito richiesto dalla norma censurata – ossia, la titolarità, in capo al datore di lavoro che non sia un cittadino italiano o di uno Stato Ue, del permesso di soggiorno di lungo periodo (condizione che, peraltro, si cumula con altri requisiti, oggettivi e soggettivi, richiesti nella stessa legge per accedere alla procedura di regolarizzazione) – restringe in modo eccessivo e irragionevole la “platea” dei soggetti legittimati a presentare istanza volta a dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare con cittadini italiani o stranieri.
Tale requisito risulta, dunque, di ostacolo alla più ampia emersione del lavoro nero, cioè uno degli obiettivi perseguiti dal legislatore, a tutela non solo delle parti del singolo rapporto di lavoro, ma dell’interesse pubblico generale, in particolare della regolarità e trasparenza del mercato del lavoro.
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