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IMPRESA

Responsabili i soci di srl che autorizzano un illecito

L’autorizzazione alla continuazione dell’attività nonostante la perdita del capitale sociale rientra nella previsione dell’art. 2476 comma 8 c.c.

/ Maurizio MEOLI

Sabato, 2 agosto 2025

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La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 22169, depositata ieri, ha stabilito che anche i soci di una srl che autorizzino gli amministratori a posticipare l’adozione delle determinazioni imposte dalla perdita del capitale sociale (o la messa in liquidazione della società) rispondono dei danni procurati alla società e ai creditori sociali dall’illecita prosecuzione dell’attività. Ciò a prescindere dall’entità della quota di partecipazione alla società.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 2476 comma 8 c.c., sono solidalmente responsabili con gli amministratori i soci di srl che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.
Si tratta di un’eccezione al principio generale secondo il quale, nella srl, per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio (art. 2462 comma 1 c.c.).

La responsabilità dei soci deriva, in primo luogo, da una condotta commissiva, ossia dall’avere “deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi”, a cui faccia seguito un determinato atto indotto, avente a oggetto la gestione della società, a opera degli amministratori.
La norma non richiede una forma particolare per la condotta di decisione e/o di autorizzazione. Ne consegue che essa può derivare dal compimento di atti formali o desumersi da manifestazioni di volontà dei soci che abbiano, anche in via di mero fatto, dato impulso o comunque influenzato l’attività degli amministratori, inducendoli a compiere atti di gestione dannosi per la società.
Si ricorda, quindi, come la Suprema Corte abbia già avuto modo di precisare che a essere richiesta sia una effettiva influenza sull’attività gestoria in uno dei modi che la legge stessa menziona; e ciò “non soltanto” nelle sedi ufficialmente deputate alla manifestazione della volontà dei soci (cfr. Cass. n. 19191/2023).
Tali caratteristiche, inoltre, mostrano anche come la responsabilità in questione non sia ricollegabile a quanto per legge inderogabilmente riservato agli stessi soci e che esula dalla competenza decisoria degli amministratori, a meno che l’ingerenza dei soci non si eserciti determinando gli amministratori al compimento dei conseguenti atti esecutivi.

Ulteriore elemento necessario a far sorgere la responsabilità dei soci ex art. 2476 comma 8 c.c. è rappresentato dal fatto che la decisione o l’autorizzazione sia avvenuta “intenzionalmente”.
Non è, cioè, possibile configurare un dolo di danno, ossia leggere l’intenzionalità come riferita al danno che sia derivato dall’atto indotto dai soci e compiuto dagli amministratori.

Quest’ultima, afferma la Suprema Corte, è una soluzione interpretativa non condivisibile per motivi sia lessicali che di ragionevolezza sistematica.
Quanto al primo aspetto, infatti, l’avverbio, svolgendo la funzione di determinare il significato del verbo a cui si affianca, va riferito ai verbi decidere o autorizzare che lo seguono e non ai termini successivi; ne deriva la necessità che a essere doloso sia l’atto commissivo (di decisione o di autorizzazione).

Quanto al secondo profilo, invece, si osserva come, proiettando l’avverbio intenzionalmente sul danno, la portata della norma sarebbe eccessivamente ridotta e creerebbe una irragionevole differenza – nell’ambito della prevista responsabilità solidale tra soci e amministratori – fra la responsabilità del socio, che risponderebbe solo se abbia previsto e voluto il danno quale conseguenza dell’atto indotto, e quella dell’amministratore, che è invece responsabile del danno che arreca a prescindere dal fatto che si sia prefigurato o meno le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla sua condotta.

In conclusione, l’intenzionalità del socio rilevante è quella che si proietta direttamente sull’atto compiuto dagli amministratori, nella consapevolezza della sua antigiuridicità, rendendolo responsabile del danno cagionato in ragione del fatto che lo ha deciso o autorizzato con l’intenzione di orientare in quei termini l’operato degli amministratori.
A fronte di tutto ciò, si reputano corrette le decisioni di merito del caso di specie che attribuivano anche ai soci (e non solo agli amministratori, di diritto e di fatto) un concorso determinante nella prosecuzione della gestione sociale. Concorso che si concretizzava, in particolare, nella loro determinazione tesa a preservare una condotta amministrativa di continuità nella gestione non per affrontare il venir meno dell’equilibrio patrimoniale, assicurando il risanamento della società o la sua ricapitalizzazione, ma per monitorare la possibilità di cedere le quote prima che le stesse perdessero valore.

Rispetto a ciò non presenta alcun rilievo il fatto che la responsabilità in questione si imputava a soci titolari di quote di minoranza all’interno della compagine e, come tali, non in grado di determinare le scelte dell’assemblea sociale. Ciò che assume rilievo, infatti, è solo la loro condotta commissiva a cui abbia fatto seguito il compimento, da parte degli amministratori, di un atto indotto, a prescindere dal “peso” della partecipazione nell’ambito societario (e all’interno dell’assemblea).

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