ACCEDI
Mercoledì, 15 ottobre 2025 - Aggiornato alle 6.00

FISCO

La dichiarazione resa dal contribuente sui compensi forma piena prova

La Suprema Corte limita la confessione al dichiarante, ma apre all’uso presuntivo verso terzi

/ Fabio FRONTONI

Mercoledì, 15 ottobre 2025

x
STAMPA

download PDF download PDF

Con l’ordinanza n. 27306/2025, la Corte di Cassazione riafferma un principio ormai consolidato nella giurisprudenza tributaria: le dichiarazioni rese da un contribuente alla presenza di pubblici ufficiali, durante una verifica fiscale, assumono natura di confessione stragiudiziale qualora implichino un riconoscimento di fatti o situazioni sfavorevoli al dichiarante.

Si tratta, dunque, di una prova piena e diretta, non di meri indizi, che può legittimamente fondare l’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria nei confronti di chi ha reso tali dichiarazioni. Questo effetto discende dal valore probatorio vincolante del processo verbale di constatazione, il quale fa fede – sino a querela di falso – tanto per le dichiarazioni raccolte quanto per i fatti rilevati dai verificatori.

L’ordinanza affronta un tema ricorrente e particolarmente delicato nella prassi: il valore delle dichiarazioni rese da un socio nel corso della verifica fiscale, con riferimento sia alla loro qualificazione come confessione stragiudiziale, sia alla possibile estensione degli effetti anche agli altri soci.
La Corte si esprime con nettezza: il principio non è nuovo, ma la motivazione adottata ne rafforza la portata applicativa, soprattutto sul piano processuale.

Il caso prende le mosse da una verifica in cui un socio aveva riferito ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate l’importo degli “stipendi” percepiti dai membri della compagine sociale, indicando cifre mensili fisse, comprensive di tredicesima. Tuttavia, la Commissione tributaria regionale aveva ritenuto tali dichiarazioni insufficienti a dimostrare il maggior reddito contestato, considerandole meri indizi espressi in termini atecnici. A parere della C.T. Reg., il riferimento allo “stipendio” non integrava una vera e propria confessione, né era idoneo a produrre effetti nei confronti degli altri soci, rimasti silenti.

La Cassazione smentisce questo approccio, chiarendo che la dichiarazione resa in sede di verifica configura una confessione stragiudiziale, ma solo nei confronti del soggetto che l’ha resa. Non è quindi possibile estenderne automaticamente gli effetti agli altri componenti della società. La distinzione è chiara: la confessione ha efficacia soggettiva limitata, ma può comunque assumere rilievo indiziario nei confronti di terzi. In altri termini, ciò che non costituisce confessione può comunque alimentare una presunzione.

A sostegno di tale principio, la Corte richiama la sentenza n. 8115 del 27 marzo 2025, secondo cui il giudice non può analizzare singolarmente gli indizi per escluderne il valore probatorio uno a uno, ma deve valutarli nel loro insieme, seguendo un percorso logico-argomentativo esplicito e coerente. Anche nel processo tributario, dunque, il ragionamento presuntivo richiede una struttura solida, una motivazione rigorosa e un’argomentazione verificabile, senza scorciatoie interpretative.

Dichiarazione del contribuente con valore confessorio

La forza probatoria della confessione, tuttavia, non la rende immune da contestazioni. Con l’ordinanza n. 8698/2021, la Cassazione ha chiarito che chi intende rimettere in discussione quanto dichiarato non può farlo in modo generico, ma deve agire formalmente ai sensi dell’art. 2732 c.c., dimostrando che la dichiarazione è stata resa per errore o sotto costrizione.
È un passaggio cruciale: da un lato, la Corte riconosce alla confessione un valore probatorio incisivo; dall’altro, salvaguarda il diritto del contribuente a ritrattare, purché siano rispettati requisiti stringenti. L’obiettivo è evidente: bilanciare la certezza dell’accertamento con le garanzie difensive.

Ne deriva che chi rilascia dichiarazioni durante una verifica deve essere pienamente consapevole della loro portata giuridica. Una volta verbalizzate, quelle parole possono diventare un elemento centrale nel procedimento, difficilmente superabile. La ritrattazione non è preclusa, ma comporta un onere probatorio elevato.

In conclusione, la Cassazione interviene con una pronuncia che consolida l’efficacia della confessione stragiudiziale in ambito tributario, pur ribadendo l’esigenza di un uso corretto e motivato delle presunzioni. Il messaggio è duplice: ciò che rileva è il contenuto sostanziale della dichiarazione e il contesto in cui viene resa, più che la forma espressiva, e il giudice è tenuto a motivare con rigore il proprio percorso decisionale.

TORNA SU